Per riflettere sul lavoro come vocazione si sono dati appuntamento sabato 9 aprile responsabili e delegati regionali dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI.
“Giungere a riscoprire la propria vocazione attraverso il lavoro che si fa – spiega mons. Angelo Casile, direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro – è la via per esprimere anche in questo ambito tutte le potenzialità della persona. Si tratta, quindi, di non rassegnarsi, anche nei casi n cui non c’è stata la possibilità di sceglierlo, a subire il lavoro, ma ad abbracciarlo dandogli un’anima: allora, anche quando ci si trova a non poter svolgere la professione ideale, ci si può realizzare, dando il meglio di sé”:
In questa prospettiva, l’intervento di don Giovanni Francesco Calabrese, direttore dell’Ufficio Catechistico di Genova, ha aiutato a confrontarsi con una catechesi che sappia educare al senso del lavoro. Il sacerdote ha ripercorso numerosi testi del Magistero, soffermandosi in particolare sugli Orientamenti pastorali della CEI, e riprendendo gli ambiti della vita dell’uomo tratteggiati dal Convegno ecclesiale di Verona, quali “luoghi” di nuova evangelizzazione.
Don Leonardo D’Ascenzo, vice direttore del Centro Nazionale Vocazioni, ha innanzitutto offerto una lettura dell’attuale contesto culturale, dove il futuro di una vita è spesso ridotto “alla scelta di una professione, alla sistemazione economica o all’appagamento sentimentale-emotivo”: tutto ciò, ha spiegato, “rischia di delineare un modello di uomo senza vocazione”.
Di qui la proposta di recuperare una visione antropologica alla luce della teologia biblica, dove il lavoro accompagna l’uomo come elemento fondamentale, necessario alla sua realizzazione, al compimento della sua vocazione di uomo.
“Lavorando l’uomo prende consapevolezza e risponde alla chiamata ad essere uomo, cioè creatura di fronte al Creatore – ha detto don D’Ascenzo –: il lavoro ci ricorda che siamo creature bisognose del necessario sostentamento per vivere; è il lavoro che ci permette di esprimerci creativamente, sperimentandoci nei nostri aspetti di ricchezza e necessariamente anche di limite; è il lavoro che ci aiuta a riconoscerci nella nostra realtà originale, riflesso unico e irripetibile dell’unico volto di Dio”.
Una visione che ripropone la vita come vocazione, anche nella difficile congiuntura attuale: “E’ importante tenere sempre presente che il lavoro è uno degli elementi fondamentali sia della persona umana che della società – ha aggiunto, citando Benedetto XVI –; le difficili o precarie condizioni del lavoro rendono difficili e precarie le condizioni della società stessa, le condizioni di un vivere ordinato secondo le esigenze del bene comune”.
Di qui l’impegno educativo della Chiesa – a cui ha dato voce nella S. Messa anche mons. Giovanni Ricchiuti, Arcivescovo di Acerenza e segretario della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro – per tornare a condizioni sociali diverse, anche attraverso una risignificazione del lavoro e, quindi, della festa.