Pubblichiamo il discorso che Papa Francesco ha rivolto ad un gruppo di persone con disabilità ricevute in udienza in occasione della loro Giornata Internazionale.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Sono lieto di incontrarvi oggi, in occasione della Giornata mondiale delle persone con disabilità. Ringrazio Mons. Giuseppe Baturi per le sue parole e anche per l’impegno delle Chiese in Italia di mantenere viva l’attenzione verso le persone con disabilità, con un’azione pastorale attiva e inclusiva. Promuovere il riconoscimento della dignità di ogni persona è una responsabilità costante della Chiesa: è la missione di continuare nel tempo la vicinanza di Gesù Cristo ad ogni uomo e ogni donna, in particolare a quanti sono più fragili e vulnerabili. Il Signore è vicino.
Accogliere le persone con disabilità e rispondere ai loro bisogni è un dovere della comunità civile e di quella ecclesiale, perché la persona umana, «anche quando risulta ferita nella mente o nelle sue capacità sensoriali e intellettive, è un soggetto pienamente umano, con i diritti sacri e inalienabili propri di ogni creatura umana» (S. Giovanni Polo II, Discorso ai partecipanti al Simposio “Dignità e diritti della persona con disabilità”, 8 gennaio 2004).
Questo era lo sguardo di Gesù sulle persone che incontrava: uno sguardo di tenerezza e di misericordia soprattutto per coloro che erano esclusi dall’attenzione dei potenti e persino delle autorità religiose del suo tempo. Per questo, ogni volta che la comunità cristiana trasforma l’indifferenza in prossimità – questa è una vera conversione: trasformare l’indifferenza in prossimità e in vicinanza – ogni volta che la Chiesa fa questo e trasforma l’esclusione in appartenenza, adempie la propria missione profetica. In effetti, non basta difendere i diritti delle persone; occorre adoperarsi per rispondere anche ai loro bisogni esistenziali, nelle diverse dimensioni, corporea, psichica, sociale e spirituale. Ogni uomo e ogni donna, infatti, in qualsiasi condizione si trovi, è portatore, oltre che di diritti che devono essere riconosciuti e garantiti, anche di istanze ancora più profonde, come il bisogno di appartenere, di relazionarsi e di coltivare la vita spirituale fino a sperimentarne la pienezza e benedire il Signore per questo dono irripetibile e meraviglioso.
Generare e sostenere comunità inclusive – questa parola è importante, inclusive, sempre – significa, allora, eliminare ogni discriminazione e soddisfare concretamente l’esigenza di ogni persona di sentirsi riconosciuta e di sentirsi parte. Non c’è inclusione, infatti, se manca l’esperienza della fraternità e della comunione reciproca. Non c’è inclusione se essa resta uno slogan, una formula da usare nei discorsi politicamente corretti, una bandiera di cui appropriarsi. Non c’è inclusione se manca una conversione nelle pratiche della convivenza e delle relazioni.
È doveroso garantire alle persone con disabilità l’accesso agli edifici e ai luoghi di incontro, rendere accessibili i linguaggi e superare barriere fisiche e pregiudizi. Questo però non basta. Occorre promuovere una spiritualità di comunione, così che ognuno si senta parte di un corpo, con la sua irripetibile personalità. Solo così ogni persona, con i suoi limiti e le sue doti, si sentirà incoraggiata a
fare la propria parte per il bene dell’intero corpo ecclesiale e per il bene di tutta la società.
Auguro a tutte le comunità cristiane di essere luoghi in cui “appartenenza” e “inclusione” non rimangano parole da pronunciare in certe occasioni, ma diventino un obiettivo dell’azione pastorale ordinaria. In tal modo potremo essere credibili quando annunciamo che il Signore ama tutti, che è salvezza per tutti e invita tutti alla mensa della vita, nessuno escluso.
A me colpisce tanto quando il Signore narra la storia di quell’uomo che aveva fatto la festa per le nozze del figlio e non sono venuti gli invitati (cfr Mt 22,1-14). Chiama i servitori e dice: “Andate all’incrocio delle strade e portate tutti”. “Tutti” dice il Signore: giovani, vecchi, ammalati, non ammalati, piccoli, grandi, peccatori e non peccatori… Tutti, tutti, tutti! Questo è il Signore: tutti, senza esclusione. La Chiesa è la casa di tutti, il cuore del cristiano è la casa di tutti, senza esclusione. Dobbiamo imparare questo. Noi siamo, a volte, un po’ tentati di andare sulla strada dell’esclusione. No: inclusione. Il Signore ci ha insegnato: tutti. “Ma questo è brutto, questo è così…”. Tutti, tutti. L’inclusione.
Cari fratelli e sorelle, in questo tempo, nel quale sentiamo quotidianamente bollettini di guerra, la vostra testimonianza è un segno concreto di pace, un segno di speranza per un mondo più umano e fraterno, per tutti. Andate avanti in questo cammino! Vi benedico di cuore e prego per voi. Grazie di quello che fate, grazie! E vi chiedo di pregare per me. Grazie!