Gesù posa il suo sguardo di compassione sulle folle che lo hanno seguito con speranza. Ha percorso città e attraversato strade, è entrato nei villaggi e nelle case per incontrare uomini e donne e annunciare loro che il Regno è presente. Molti hanno preso a seguirlo. Qualcuno per curiosità, molti perché attratti da un potere misteriosamente connesso con la bontà. Intuiscono che lui, il figlio del falegname di Nazaret, può cambiare la loro vita e renderla più degna, amica delle loro aspirazioni più profonde di bellezza e felicità. Gesù ha parole autorevoli, comanda al vento e al diavolo, guarisce e perdona, accarezza i bambini e condivide gioie e dolori. Ridesta speranze profonde e manifesta la misericordia ardente di Dio. Gesù è il medico che vede la ferita del corpo e raggiunge il bisogno dell’anima, si accosta all’uomo segnato dal limite, ne prova compassione, ne condivide la condizione.
Adesso guarda le folle e ne avverte compassione, perché sono stanche e sfinite, senza guida e meta, come pecore senza un pastore capace di conoscerle per nome, nella unicità della loro esistenza, di riconoscerne la voce unica, di guidarle verso il bene. Avrà visto tra la folla la mamma in attesa trepidante, l’uomo che ha sempre lavorato e si chiede per quale scopo, gli innamorati che vogliono vivere per sempre il loro amore. Vede persone segnate dal male della divisione e dell’odio, malati e infermi, lebbrosi. Gesù ha compassione di ciascuno di noi. Tra la folla, vede proprio me e te. Nello spazio di quello sguardo di compassione ciascuno può sentirsi conosciuto e amato, sostenuto nel cammino della vita. Non c’è ragione per sottrarci, non nascondiamoci, facciamoci riconoscere e guidare. Solo Gesù Cristo, morto e risorto, può conoscerci in profondità, amarci interamente e chiamarci per nome. Accettiamo la confidenza di questo sguardo di compassione. Per gli uomini stanchi e sfiniti è offerto il ristoro della Sua dolce presenza.
Carissimi amici e fratelli, sorelle e madri, siamo qui presso la tomba di Pietro, siamo venuti numerosi per la Giornata Internazionale delle persone con disabilità, per la gratitudine di aver incontrato Gesù Cristo, il suo sguardo, la sua misericordia. In compagnia di tanti suoi discepoli, abbiamo riconosciuto il valore della vita e abbiamo imparato ad amarla, così com’è, con le sue grandezze e i suoi limiti. Vogliamo dire il nostro grazie e al tempo stesso essere confermati nella fede perché sulla roccia di Pietro possiamo anche noi costruire la Chiesa come dimora accogliente, nella quale ogni fratello e sorella possano sentirsi a casa e sostenuti.
Gesù chiama i discepoli e li manda tra gli uomini quasi per dilatare nello spazio del mondo e del tempo della storia il suo sguardo e la potenza della sua misericordia: “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni”. Il segno distintivo dei discepoli del Maestro è che la loro azione non può essere scambiata con alcun possesso o potere. Pura e assoluta gratuità, espressione della gratitudine per una gioia non meritata e interamente donata. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Lo sguardo di Dio si rinviene dentro quello dei suoi discepoli che, sul suo esempio, continuano a percorrere le città e i villaggi.
A tutti gli uomini vogliamo annunciare la grande misericordia di Cristo, per la quale nessuno è sbagliato o di troppo, tutti figli e fratelli. La gratuità di questo amore ci dà forza nel chiedere di riconoscere la dignità dei nostri fratelli e sorelle con disabilità, a farsi loro vicini nel rispetto e condivisione, per prestare l’aiuto necessario, e compiere tutti gli sforzi per rendere più bella la loro vita.
Il tema di questa Giornata, O tutti o nessuno, ci fa comprendere che la compagnia dei credenti è chiamata ad essere la dimora in cui ciascuno può essere sostenuto nel cammino, e che insieme possiamo far sì che la voce di tanti fratelli non sia disattesa ma riceva la compassione di misericordia che merita. Il dono grande che possiamo anzitutto offrire alle nostre sorelle e fratelli con disabilità è il calore di una compagnia semplice e fraterna, nell’abbraccio della quale ciascuno sappia riconoscere i segni di quell’amore che dice: tu sei un bene, la tua vita è preziosa, unica, degna dell’amore più grande, quello di un Dio che muore per te.