Famiglia e vita

Messaggio per la 29ª Giornata per la vita – 4 febbraio 2007

Messaggio per la 29ª Giornata per la vita - 4 febbraio 2007
Non si può non amare la vita: è il primo e il più prezioso bene per ogni essere umano. Dall’amore scaturisce la vita e la vita desidera e chiede amore. Per questo la vita umana può e deve essere donata, per amore, e nel dono trova la pienezza del suo significato, mai può essere disprezzata e tanto meno distrutta. Certo, i giorni della vita non sono sempre uguali: c’è il tempo della gioia e il tempo della sofferenza, il tempo della gratificazione e il tempo della delusione, il tempo della giovinezza e il tempo della vecchiaia, il tempo della salute e il tempo della malattia… A volte si è indotti spontaneamente ad apprezzare la vita e a ringraziarne Dio, “amante della vita” (Sap 11,26), altre volte la fatica, la malattia, la solitudine ce la fanno sentire come un peso.

Ma la vita non può essere valutata solo in base alle condizioni o alle sensazioni che la caratterizzano nelle sue varie fasi; essa è sempre un bene prezioso per se stessi e per gli altri e in quanto tale è un bene non disponibile. La vita, qualunque vita, non potrà mai dirsi “nostra”. L’amore vero per la vita, non falsato dall’egoismo e dall’individualismo, è incompatibile con l’idea del possesso indiscriminato che induce a pensare che tutto sia “mio”; “mio” nel senso della proprietà assoluta, dell’arbitrio, della manipolazione. “Mio”, ossia ne posso fare ciò che voglio: il mio coniuge, i miei figli, il mio corpo, il mio presente e il mio futuro, la mia patria, la mia azienda, perfino Dio al mio servizio, strumentalizzato fino al punto da giustificare, in suo nome, omicidi e stragi, nel disprezzo sommo della vita.

Se siamo attenti, qualcosa dentro di noi ci avverte che la vita è il bene supremo sul quale nessuno può mettere le mani; anche in una visione puramente laica, l’inviolabilità della vita è l’unico e irrinunciabile principio da cui partire per garantire a tutti giustizia, uguaglianza e pace. Chi ha il dono della fede, poi, sa che la vita di una persona è più grande del percorso esistenziale che sta tra il nascere e il morire: ha origine da un atto di amore di Colui che chiama i genitori a essere “cooperatori dell’amore di Dio creatore” (FC n. 28). Ogni vita umana porta la Sua impronta ed è destinata all’eternità. La vita va amata con coraggio. Non solo rispettata, promossa, celebrata, curata, allevata. Essa va anche desiderata. Il suo vero bene va desiderato, perché la vita ci è stata affidata e non ne siamo i padroni assoluti, bensì i fedeli, appassionati custodi. 

Chi ama la vita si interroga sul suo significato e quindi anche sul senso della morte e di come affrontarla, sapendo però che il diritto alla vita non gli dà il diritto a decidere quando e come mettervi fine. Amandola, combatte il dolore, la sofferenza e il degrado – nemici della vita – con tutto il suo ingegno e il contributo della scienza. Ma non cade nel diabolico inganno di pensare di poter disporre della vita fino a chiedere che si possa legittimarne l’interruzione con l’eutanasia, magari mascherandola con un velo di umana pietà. Né si accanirà con terapie ingiustificate e sproporzionate. Nei momenti estremi della sofferenza si ha il diritto di avere la solidale vicinanza di quanti amano davvero la vita e se ne prendono cura, non di chi pensa di servire le persone procurando loro la morte.

Chi ama la vita, infatti, non la toglie ma la dona, non se ne appropria ma la mette a servizio degli altri. Amare la vita significa anche non negarla ad alcuno, neppure al più piccolo e indifeso nascituro, tanto meno quando presenta gravi disabilità. Nulla è più disumano della selezioni eugenetica che in forme dirette e indirette viene sempre più evocata e, a volte, praticata. Nessuna vita umana, fosse anche alla sua prima scintilla, può essere ritenuta di minor valore o disponibile per la ricerca scientifica. Il desiderio di un figlio non da diritto ad averlo ad ogni costo. Un bambino può essere concepito da una donna nel proprio grembo, ma può anche essere adottato o accolto in affidamento: e sarà un’altra nascita, ugualmente prodigiosa. 

Il nostro tempo, la nostra cultura, la nostra nazione amano davvero la vita? Tutti gli uomini che hanno a cuore il bene della vita umana sono interpellati dalla piaga dell’aborto, dal tentativo di legittimare l’eutanasia, ma anche dal gravissimo e persistente problema del calo demografico, dalle situazioni di umiliante sfruttamento della vita in cui si trovano tanti uomini e donne, soprattutto immigrati, che sono venuti nel nostro Paese per cercare un’esistenza libera e dignitosa. E necessaria una decisa svolta per imboccare il sentiero virtuoso dell’amore alla vita. Non bastano i “no” se non si pronunciano dei “sì”, forti e lungimiranti a sostegno della famiglia fondata sul matrimonio, dei giovani e dei più disagiati.
Guardiamo con particolare attenzione e speranza ai giovani, spesso traditi nel loro slancio d’amore e nelle loro aspettative di amore. Capaci di amare la vita senza condizioni, capaci di una generosità che la maggior parte degli adulti ha smarrito, i giovani possono però talora sprofondare in drammatiche crisi di disamore e di non–senso fino al punto di mettere a repentaglio la loro vita, o di ritenerla un peso insopportabile, preferendole l’ebbrezza di giochi mortali, come le droghe o le corse del sabato sera. Nessuno può restare indifferente. 

Per questo, come Pastori, vogliamo dire grazie e incoraggiare i tanti adulti che oggi vivono il comandamento nuovo che ci ha dato Gesù, amando i giovani come se stessi. Grazie ai genitori, ai preti, agli educatori, agli insegnanti, ai responsabili della vita civile, che si prendono cura dei giovani e li accolgono con i loro slanci entusiasti, ma anche con i loro problemi e le loro contraddizioni. Grazie perciò a quanti investono risorse per dare ai giovani un futuro sereno e, in particolare, una formazione e un lavoro dignitosi. 

Sì, la vita umana è un’avventura per persone che amano senza riserve e senza calcoli, senza condizioni e senza interessi; ma è soprattutto un dono, in cui riconosciamo l’amore del Padre e di cui sentiamo la dolce e gioiosa responsabilità della cura, soprattutto quando è più debole e indifesa. Amare e desiderare la vita è, allora, adoperarsi perché ogni donna e ogni uomo accolgano la vita come dono, la custodiscano con cura attenta e la vivano nella condivisione e nella solidarietà.

Roma, 21 novembre 2006
Memoria della Presentazione della Beata Vergine Maria

CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE

21 Novembre 2006

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