Una presenza preziosa sul territorio, immagine di una Chiesa samaritana e madre, luogo di speranza che, con competenza e professionalità, restituisce dignità alle persone, a prescindere dalla loro condizione dal loro credo. È questa l’identità propria degli Hospice cattolici e di ispirazione cristiana così come viene delineata nel Documento curato dal Tavolo istituito presso l’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della CEI, al termine di due anni di lavoro, e presentato il 18 settembre in una conferenza stampa online.
Il testo “Una presenza per una speranza affidabile. L’identità dell’Hospice cattolico e di ispirazione cristiana”, ha spiegato don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio CEI, è “il punto di arrivo di un percorso, ma soprattutto un punto di partenza di un cammino di convergenza ecclesiale e professionale su nuovi obiettivi”. Sempre in dialogo aperto con la cultura contemporanea e alla luce del contesto attuale, provato dalla pandemia.
“In hospice ci è chiesto di accogliere persone più che pazienti e di vedere in ciascuno un essere umano che in quanto tale è degno di essere rispettato e onorato”, ha sottolineato Maria Elena Bellini, psicologa, ricordando che “la presenza amorevole è la prima cura, che nasce da un incontro carico di empatia e di passione” e che “la relazione permette alle persone di vivere bene anche nella sofferenza”. Il tutto perché “il tempo che resta non sia l’attesa della morte, ma sia colmato dal senso della vita e perché sull’angoscia prevalga la speranza”.
In quest’ottica, ha aggiunto Massimo Damini, medico palliativista, è fondamentale “recuperare la compenetrazione tra curare ed esserci” e “passare da un processo formale legalmente tutelato alla costruzione in equipe di un percorso tecnico, umano e spirituale che è l’unica possibilità di garantire una dignità del vivere fino alla fine”. Ecco perché gioca un ruolo decisivo anche la dimensione gestionale-amministrativa: “molta attenzione è portata alla formazione e alla selezione del personale”, ha osservato il direttore sanitario, Carla Dotti, evidenziando che “bisogna impegnarsi per la sostenibilità economica e nella ricerca fondi per garantire le cure anche a chi è escluso dalla programmazione sanitaria”.
Con il Documento viene infine ribadita la necessità di “uno sforzo culturale per riscattarci dall’idea che l’hospice sia l’anticamera della morte”, ha rilevato don Vito Piccinonna, rettore della Basilica dei Santi Medici di Bitonto, per il quale “mai come in prossimità della morte occorre celebrare la vita” e mostrare il volto di “una Chiesa samaritana, madre, capace di accompagnare, accogliere e dialogare con tutti, anche con chi professa altre religioni o non è credente”.