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Mobilitiamo la speranza per non rimpicciolire il nostro cielo

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Quale significato ha l’odierna festa ma­riana, posta quasi come spartiacque nel cuore dell’estate? Che cosa signifi­ca celebrare l’Assunta per noi ferragostani, gelosi difensori di un senso tanto acuto quanto ambiguo della nostra personale sin­golarità? Se, in positivo, tale percezione ve­de accresciuti, infatti, il riconoscimento e la promozione della dignità e della libertà di ciascuno, all’opposto è ferita da un indi­vidualismo che ci isola, ci divide ed esaspe­ra i conflitti. In un tempo di esaltazione dell’autonomia e della libertà individuale, impera sottova­lutato un pensiero unico, pervasivamente diffuso dalla cultura della comunicazione nel suo intreccio con le esigenze del mercato e del consumo. A uscirne umiliata non è sol­tanto la corporeità, ma anche l’interiorità della persona. Questa deriva è riconoscibi­le nello spreco di vita, di tempo, di risorse e di possibilità, che si verifica quando ci si chiude nel circolo vizioso della smania di e­vasione, di piacere, di divertimento a tutti i costi, noncuranti dei drammi che si consu­mano dietro l’angolo, se non addirittura che si arrecano.

Analogamente avviene quan­do, nella gestione della cosa pubblica, la lot­ta a difesa di interessi personali o di grup­po si trasforma in uno scontro di veti in­crociati, che paralizzano la ricerca del bene comune; o quando, nell’esercizio di una re­sponsabilità o nell’espletamento di un com­pito all’interno di un’organizzazione socia­le, il sottrarsi al proprio dovere vanifica pre­stazioni e servizi attesi e sperati. Sono, que­sti, solo alcuni casi tipici di un andazzo che rimpicciolisce il nostro cielo, rendendo ir­respirabile la convivenza. Diventa allora co­modo scaricare responsabilità e colpe sugli altri, o illudersi che basti una sterile elabo­razione di formule, in realtà raramente i­donee ad affrontare e risolvere i problemi.

Come uscire da tale situazione? Bisogne­rebbe innanzitutto intendere l’indole spiri­tuale del malessere che ci affligge: siamo poveri di idealità, di pensiero, di orizzonti, di speranza. Non bastano tecniche e pro­grammi, peraltro necessari; ci vogliono per­sone rinnovate, come ci ricorda Benedetto XVI: «Lo sviluppo è impossibile senza uo­mini retti, senza operatori economici e uo­mini politici che vivano fortemente nelle lo­ro coscienze l’appello del bene comune».

Proprio Maria, associata in modo unico e singolare alla vittoria del suo Figlio sul ma­le e sulla morte, è la prima cellula di una nuova umanità. Infatti, non ci indica solo la meta del nostro andare, ma anche la via da seguire per raggiungerla. Il Magnificat è il canto di coloro che sanno vivere il primato della lode e della riconoscenza, e abbrac­ciare il senso positivo della dignità di ogni singola persona umana, per interpellarla di­rettamente nella sua coscienza e innescare un movimento di redenzione dal disagio che ammorba la vita di tutti.

Solo un simile sguardo ci fa crescere, pro­piziando una mobilitazione interiore della persona e il superamento di ogni forma di isolamento, così da riconoscersi nella rete di solidarietà umana in cui siamo costitui­ti per nascita e destino. Si tratta di ripartire da coscienze e interiorità nutrite di relazio­ni significative per far sorgere rinnovate ag­gregazioni sociali. Dobbiamo imparare a scrutare ciò che avviene nel tessuto mole­colare di una società che custodisce riserve e fermenti di comunione, e spesso sente il bisogno di proteggersi dal chiasso superfi­ciale e dalla dispersione caratteristica della spettacolarizzazione di massa. In quei fer­menti troviamo, insieme a un segno di spe­ranza, l’invito a coltivare l’arte di rientrare in se stessi e scoprire inedite possibilità di incontro e di alleanza per trasformare dal di dentro una società che appare a volte in­sensata.

Mariano Crociata
15 Agosto 2010

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