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Sintesi del Convegno L'arte del celebrare. Le provocazioni del rito

Ufficio Liturgico Nazionale

A fine ottobre scorso, si è svolto a Rimini il Convegno nazionale degli Uffici Liturgici Diocesani, che quest´anno aveva natura unitaria, raggruppava cioè i tre settori della pastorale liturgica, della musica e dell´arte sacra. Nel ´98 si tenne a Montesilvano (Pe), riguardava i soli Direttori e aveva come tema L´esistenza come mistero. La forza e la bellezza del rito. Quest´anno, invece, L´esperienza del celebrare, titolo che richiama L´arte del celebrare di una Settimana dell´Associazione Professori di Liturgia. A livello organizzativo il convegno ha messo in pratica ciò che andava predicando: non solo classiche relazioni, ma anche "vedere" e "toccare": un laboratorio di ascolto di alcuni canti dal nuovo repertorio nazionale, per il settore della musica, e per quanto riguarda arte e architettura, la visita alla cattedrale di Bologna (l´adeguamento dello spazio liturgico) e alla chiesa parrocchiale di Riola sull´Appennino bolognese (una chiesa della riforma liturgica).


PREGHIERA E LINGUAGGIO NON-VERBALE NELLA TRADIZIONE BIBLICA

Chi non l´ha mai vista, non sa cosa sia una festa. Elena Bartolini, di Milano, ci descrive come nell´ebraismo la danza faccia parte della liturgia. L´antropologia biblica - si sa - non contrappone corpo e anima, diversamente dalla cultura greca, che ha segnato lo sviluppo del pensiero occidentale. I concetti ebraici sono pregnanti, il loro orizzonte semantico vasto. Lev, ad esempio, non è semplicemente il cuore; indica anche la ragione, la volontà, la sede dei sentimenti; riguarda la persona, il suo centro, la sua essenza. Ugualmente, nella lode a Dio è coinvolto tutto l´essere; cerchio, festa e condivisione sono concetti associati nella liturgia, ma perché lo sono anche a livello antropologico tout court. Ondeggiare, cantare, cantilenare, cantillare, danzare, saltare, saltellare, muoversi, girare, volteggiare, roteare, suonare fanno la pluralità dei linguaggi di cui si avvale la lode a Dio secondo la Bibbia, dove danza, musica e ge
sto (corporeo) non sono mai spettacolo, ma esperienza mistica, un momento tra i più sacri, patrimonio di un popolo che esprime la dimensione religiosa della storia in maniera comunicativa. Scopriamo così che la danza femminile aveva un ruolo rilevante nelle liturgie, e questo perché spazio sacro per eccellenza è, in seguito alla caduta del tempio, la famiglia. Anche Davide danza - e mezzo nudo - davanti all´arca. Lo fa davanti al Signore. Mikal, che l´ha criticato, viene punita con la sterilità.
L´esperienza celebrativa ebraica, così come emerge fra le righe della narrazione (non abbiamo immagini, dato il divieto di raffigurare non solo Dio, ma la persona stessa), costituisce una provocazione positiva per il cristianesimo: per l´antropologia unitaria che vi è sottesa, per la sua forte componente relazionale e per il vivo senso di appartenenza a un popolo. La celebrazione non è mai un fatto individuale, ma comunicativo: ci si scopre in relazione a Dio, ma attraverso la relazione uomo-uomo. Da segnalare è l´esperienza di scambio vitale fra ebrei e cristiani ai seminari organizzati annualmente sull´Appennino di Reggio Emilia, inerenti la danza e la preghiera ebraica.


LA CELEBRAZIONE TRA CORPO E TRASCENDENZA

La relazione di Giorgio Bonaccorso ha "toccato" il corpo.
Il primato della mente nel pensiero occidentale, o dell´interiorità rispetto al corpo, porta a una chiusura immanentistica, nonostante continui a mantenere tensione alla trascendenza. Ne risulta una spiritualità debole. Plotino si è anche vergognato di avere un corpo, mentre secondo Agostino i corpi non sono quello che noi siamo. Eppure il pensiero cristiano ne fa largo uso: la chiesa come un corpo (san Paolo), l´onore al corpo dei defunti, le reliquie dei santi. Perché il corpo è ora denigrato, ora onorato?
Da una parte esso è un´immagine di cui si serve la mente, dall´altra una realtà tangibile, soggetto attivo nella convivenza umana, con un ruolo decisivo nelle relazioni intersoggettive e nelle
istituzioni. Senza di esso non vi sono emozioni, comunicazione, comportamento. Il corpo, semmai, è un agente che condiziona il pensiero.
Quando tutto gravita attorno all´anima o alla mente, l´attitudine alla trascendenza viene gravemente offuscata e si produce una nuova immanenza. Un marcato razionalismo riduce tutto al mentale, e si sconta così il peccato di aver abbandonato la materia e il corpo. Si arriva, attraverso un´identificazione ambigua, a un supremo atto di ateismo: l´altro viene assorbito dall´io, da un pensiero concentrato in se stesso, sicuro di sé, luogo in cui sostare prima di ogni contatto con l´esterno. L´insistenza su anima e mente può sorprendentemente fuorviare dall´attitudine all´immanenza, conducendo a un luogo isolato, o meglio a un isolamento privo di luogo. Le conseguenze sono gravi. L´attitudine alla trascendenza si fa strada nell´esteriorità, mentre l´interiorità dell´anima è troppo compromessa con l´autonomia della mente, dell´"io penso", che all´occasione si trasforma in "io voglio".


P. Claudio Gotti