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Vite ricucite   versione testuale

Con una mano Eva tiene il ferro da stiro; con l’altra quasi accarezza il pigiama giunto da una casa di riposo. La sua pelle scura risalta sopra il bianco della stoffa. Ha 29 anni. Viene dall’Africa. E dal 2009 è in carcere. "Non ho ancora capito quando finirò di scontare la pena", sorride benché sul volto appaia un filo di tristezza. Eva è in affidamento ai servizi sociali. E lavora: nella lavanderia della Venerabile Confraternita di misericordia di Genova, una delle realtà visitate dai delegati del Congresso eucaristico. La sede è in un carruggio quasi perduto nel reticolo di vie del centro storico. Ed è lo specchio di questa silenziosa ma straordinaria opera di carità che un unico scopo: dare un futuro alle detenute. Con le visite nei penitenziari, ma soprattutto accogliendole oltre le sbarre.
In sette si alternano ogni giorno davanti a lavatrici e asciugatrici. Hanno tutte sulle spalle una condanna penale. "Ho sbagliato e lo riconosco – spiega Eva –. Chiedo solo di avere un’altra possibilità e di dimostrare che posso rialzarmi". Lei ce la sta facendo. Da quattro anni frequenta la lavanderia che le permette di avere un sussidio per il reinserimento. "Grazie a questa attività mangio, mi pago un affitto e ho persino studiato ai corsi serali dell’istituto alberghiero". Poi aggiunge: "Quando sono arrivata, ero un’altra. Qui hanno tirato fuori il meglio di me". Si riferisce alle volontarie che animano l’intera Confraternita. "Se da dodici anni la lavanderia è sul mercato e adesso serviamo quindici clienti fra case di riposo, ristoranti e associazioni, è merito loro", afferma soddisfatta la responsabile Anna Olivieri. Ma subito si fa cupa: "Eva non potrà più avere il permesso di soggiorno. E allora il nostro impegno rischia di essere vanificato. Dov’è la rieducazione prevista dalla Costituzione? O si preferisce buttare la chiave quando una persona finisce in cella?".
Alla lavanderia la Confraternita affianca la casa-famiglia dove fino a otte detenute possono vivere in semilibertà. "Le aiutiamo a riprendere in mano la loro vita", chiarisce la referente Valeria Sartori. Poi ci sono i laboratori di cucito che offrono un sostegno (anche economico) ai parenti di chi recluso. Come Rachele, 43 anni, che ha visto entrambi i genitori dietro le sbarre. "Questa è la mia seconda famiglia", racconta mentre cuce a macchina. Una famiglia che, però, ha bisogno di nuova linfa. "La Confraternita nasce nel 1400 per accompagnare chi era condannato a morte – racconta la vice-governatrice Fulvia Bagnara Saccomanno –. Oggi la maggior parte di noi volontari è anziana. E i fondi pubblici ci permettono di coprire appena un quinto dei costi. Chissà che se resisteremo…".
(Giacomo Gambassi)