II Domenica di Quaresima

Dal Sussidio per la Quaresima-Pasqua, a cura dell'Ufficio Liturgico Nazionale

Gn 15,5-12.17-18 
Sal 26 

Fil 3,17-4,1 
Lc 9,28b-36
 
Commento 
Oggi, tanto il Vangelo, come la prima lettura, ci parlano di una esperienza straordinaria di Dio. I tre discepoli prediletti, Pietro, Giacomo e Giovanni, sulla cima del monte dove Gesù pregava (Lc 9,29), sperimentano un torpore, l’oppressione del sonno, ma quando si svegliano, vedono Gesù trasfigurato nella gloria, che conversa con Mosè ed Elia. Così Abramo, sopraffatto anch’egli da un torpore e da un senso di terrore (lo stesso che investirà i tre discepoli di Gesù all’essere immersi nella nube), vede Dio “passare in mezzo agli animali divisi” nella forma di “un braciere fumante e una fiaccola ardente” (Gn 15,17). 
Nel caso di Abramo, la visione serve a siglare un’alleanza tra il Signore e il patriarca, il cui contenuto è la promessa di una discendenza numerosa quanto le stelle del cielo (cf Gn 15,5), che dimorerà nella terra su  cui Abramo si trova. Nel Vangelo, la visione dei discepoli è funzionale invece a fissarli nell’ascolto del Figlio, dell’Eletto (cf Lc 9,35). Del resto, la presenza sul monte con Gesù, di Mosè e di Elia, rimanda all’esperienza di Dio fatta da questi due grandi personaggi dell’Antico Testamento, un’esperienza di parola udita, più che di visione di gloria: nonostante i fenomeni teofanici che accompagnano l’incontro di Mosè con Dio sul monte Sinai (cf Es 19,16), l’essenziale è il dialogo che si instaura tra lui e il Signore: “Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce” (Es 19,19). Così nella teofania vissuta da Elia sul monte Oreb (nome alternativo dello stesso monte Sinai), Dio non si mostra nel vento, nel terremoto o nel fuoco, ma nel “sussurro di una brezza leggera”, dalla quale viene a Elia una voce (cf 1Re 19,11-13). 
Dunque la parola di Dio ci rimanda oggi a un  ascolto, all’udire la voce di Dio Padre nella voce del Figlio, che si è fatto nostro fratello proprio perché nella sua voce di uomo-Dio, noi potessimo ascoltare la volontà di Dio su di noi. Nella contemplazione del volto di Gesù di Nazareth, è aperta a noi la possibilità di vedere Dio stesso: ma non perché la nostra esperienza si fissi nella contemplazione della bellezza di Dio (questo non è possibile in questa vita: non è stato possibile per Abramo, per Mosè, per Elia, e neppure per Pietro, Giacomo e Giovanni!), ma perché nella dinamica del nostro vivere ci poniamo in atteggiamento di ascolto della voce del Signore. Allora sentiremo anche noi, come Abramo, che Dio rivolge a noi una promessa, il cui contenuto ci è stato sintetizzato da Paolo nella seconda lettura: “La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso…” (Fil 3,20-21). Come Abramo è stato invitato a contemplare il cielo stellato, perché comprendesse che la terra della promessa non era tanto la terra di Canaan, quanto il cielo stesso, il mondo di Dio, nel quale veniva invitato a entrare, così anche Paolo ci dice che la terra che il Signore ci ha promesso e di cui abbiamo acquisito la cittadinanza, è il cielo stesso, nel quale saremo introdotti dopo la trasfigurazione del nostro corpo di carne, fatto conforme al corpo di Cristo, trasfigurato nella gloria della sua beata risurrezione.
La condizione del Cristo, trasfigurato sul monte dinanzi agli occhi dei suoi discepoli, anticipa la sua condizione gloriosa di Risorto e ci invita a contemplare il nostro stesso destino: quello che vediamo in Lui, nostro capo, sarà partecipato a noi, sue membra, nella misura in cui ci saremo posti in ascolto della sua parola, nella misura in cui ne avremo accolto il mistero: mistero di morte e risurrezione, mistero esodico (cf Lc 9,31), cioè mistero del passaggio alla vita vera, che si compie attraverso la morte, mistero pasquale che è stato compiuto dall’Eletto di Dio. Questo titolo l’Antico Testamento lo applica, tra gli altri, alla figura del servo, cantato da Isaia (Is 42,1), ed è già stato evocato nella scena del battesimo di Gesù al Giordano (cf Lc 3,22). Il servo di Isaia darà la sua vita per le moltitudini e in questa offerta vedrà una discendenza, la sua sorte sarà ribaltata (cf Is 53): perfetto annuncio di quanto si compirà in Gesù di Nazareth e nel suo mistero pasquale di passione, morte e risurrezione. 
Siamo allora invitati anche noi oggi a contemplare nel volto trasfigurato di Gesù il volto del servo sofferente: in Lui comprendiamo che, se la trasfigurazione è anticipo della risurrezione, allora anche la nostra trasfigurazione nella gloria sarà partecipazione alla gloria del Signore risorto, “se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze” (Rm 8,17). Il cammino della Quaresima è conformazione progressiva al mistero pasquale di Gesù Cristo: se la liturgia della Chiesa, eliminando il canto dell’Alleluia e usando le vesti liturgiche viola, sottolinea soprattutto il senso dell’attesa e del rinvio della gioia per la vittoria del Risorto, l’episodio della trasfigurazione del Signore ci consente di pregustare un assaggio di ciò che ci attende, ci dona “una” caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria” (Ef 1,14).

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