Lo spirituale nell'arte. Saggi sull'arte in Italia nei primi decenni del Novecento

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Lo spirituale nell'arte. Saggi sull'arte in Italia nei primi decenni del Novecento
Luciano Caramel (a cura di)
» Leggi l'intervista a Sr Gloria Riva
"Ritrovare la Biblia pauperum"  

 


25/06/2014
Scheda libro

25/06/2014
L'argomento

25/06/2014
Chi sono gli Autori

25/06/2014
Una citazione

25/06/2014
Il contenuto

25/06/2014
Valutazione
Indice
 
 


25/06/2014
Scheda libro

Titolo: “Lo spirituale nell'arte. Saggi sull'arte in Italia nei primi decenni del Novecento”
Autori: Luciano Caramel (a cura di)
Editore: Franco Angeli, 2011
Numero pagine: 160
Prezzo: 27,00 euro

25/06/2014
L'argomento

Se l'impatto della modernità, votata all'efficienza meccanica e alla tecnologia, si è riversato con particolare energia sul pensiero e sulla sensibilità europea nella prima metà del '900, la cultura ha risposto in parte assumendo e associandosi a quell'impeto, in parte cercando di recuperare un approccio più distaccato rispetto al tumultuoso succedersi degli eventi e delle suggestioni che la preparazione e le conseguenze degli eventi bellici hanno trascinato con sé. In tale ambito anche all'interno del movimento futurista sono emerse proposte volte a ripensare e ripresentare il messaggio cristiano, spesso partendo da una posizione di recupero del sentire spirituale inteso come alterità, seppure non chiaramente denotata. Per approdare in  alcuni casi a una convinta adesione al cattolicesimo. Il che, nel complesso, dimostra come pure nel momento del distacco lacerante, o della rivolta, là dove per via dell'arte si riesce ad ascoltare l'autenticità dell'animo umano, sia possibile aprire nuovi cammini verso la conversione. Come ha scritto Wassili Kandinsky, citato da Luciano Caramel all'apertura del volume: “L'uomo parla all'uomo del sovrumano: è questo il linguaggio dell'arte”.
 

 

25/06/2014
Chi sono gli Autori

Luciano Caramel è critico e storico dell'arte. Per quasi vent'anni professore ordinario di Storia dell'arte contemporanea all'Università Cattolica di Milano e Brescia, per oltre un decennio ne ha diretto l'Istituto di Storia dell'Arte. Ha insegnato anche nelle Accademia di Belle Arti, ha collaborato tra l'altro con la Biennale veneta e con la Quadriennale di Roma.
 
Gli altri Autori dei saggi contenuti nel volume sono tutti docenti nell'Istituto di Storia dell'arte dell'Università Cattolica di Milano:
Cecilia De Carli, docente di Storia dell'Arte contemporanea, è direttore del CREA, Centro di Ricerca per l'Educazione attraverso l'Arte nonché direttore del master “Servizi educativi per il patrimonio artistico, dei musei storici e di arti visive” e membro del Comitato Scientifico della Collezione Paolo VI di Brescia. 
Gian Alberto Dell'Acqua (Milano, 1909 – 2004) fu Soprintendente a Milano, presidente del Museo Poldi Pezzoli, segretario della Biennale di Venezia, docente di Storia dell'arte all'Università Cattolica di Milano. Nella sua lunga vita dedicata all'arte ha tra l'altro curato mostre di grande rilevanza in Italia e all'estero.
Elena Di Raddo, ricercatrice presso l'Università Cattolica di Milano e Brescia, insegna Storia dell'arte contemporanea. Si interessa soprattutto della pittura del periodo compreso tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento.
Giuseppe Lupo, ricercatore presso l'Università Cattolica di Milano e di Brescia, autore di saggi e romanzi, è socio della Mod (Società per lo studio della modernità letteraria) e del P.E.N. Club. È nel comitato editoriale della rivista "Letteratura e Arte".
Francesco Tedeschi, docente di Storia dell'arte contemporanea all'Università Cattolica di Milano e Brescia, codirige il Master di primo livello "Organizzare Cultura" che l'ALMED dell'Università Cattolica cura insieme con la facoltà di Design del Politecnico di Milano, è storico e critico dell'arte.

25/06/2014
Una citazione
«Nella Trinità di  Severini il volto dei tre personaggi assume l'ideale iconografia del volto di Cristo, che è “l'espressione vivente del sacro”, anche perché... l'antropomorfismo nell'iconografia sacra corrisponde a un'esigenza originaria della pittura, che non può rivolgersi solo all'intelletto, ma deve esplicitare tutte le potenzialità della visione rendendo visibile lo splendore e l'espressione dell'invisibile. Ed è proprio, secondo Maritain, la nozione di persona e personalità umana (umana e divina) racchiusa nella formula dogmatica della Trinità, il principio teologico che offrendosi all'intuizione dell'artista dei primi secoli cristiani gli permette di arrivare a un realismo trascendente. Tale ricerca di autenticità è, per Maritain come per Severini, la nuova condizione di rinascita che ricompone la sintesi fra umano e divino, tra fede e ragione, tra arte e scienza. La critica, che solo a partire dagli anni Ottanta ha iniziato a far luce sulla pittura di Severini fra le due guerre... uscendo, almeno in parte, dal pregiudizio che l'aveva confinata nel dimenticatoio, ha comunque soltanto sfiorato la portata culturale ed energetica che scaturisce dalla frequentazione di Severini con i Maritain e il mondo che li circonda». (Dal testo di Cecilia De Carli “Dal platonismo pitagorico al neo-tomismo maritainiano...” pag. 69).
 
 

25/06/2014
Il contenuto

“Lo spirituale nell'arte”, testo che Kandinsky pubblicò nel 1910, ispira il titolo del volume ed è il punto di partenza per la serie di analisi che i diversi autori propongono. Nelle parole dell'artista russo, Caramel ravvisa l'espressione di quel “filo rosso” che manifesta la tensione, intrinseca all'artiste, verso la dimensione trascendente. E che attraversa persone e sensibilità diverse, che si muovono anche lontano degli ambienti cattolici, o più in generale cristiani.
Lo stesso Kandinsky aderì a correnti di pensiero esoterico quali la Teosofia e l'Antroposofia: la figura del grande pittore russo offre lo spunto a Caramel per allargare il discorso su quegli ambienti che vivono al di fuori delle religioni “istituzionalizzate”. A partire da Ernesto Bonaiuti, prima sacerdote cattolico, poi scomunicato e sospeso  “a divinis” per “modernismo”, che nelle sue Edizioni di Religio pubblicò lo scritto di Kandinsky, tradotto  da Giovanni Colonna di Cesarò.
A Bonaiuti è legato anche Franco Ciliberti (il primo fu correlatore della tesi di laurea del secondo) che condivide con Kandinsky l'idea dell'importanza del ritorno al primitivismo, quale via di allontanamento dal razionalismo ottocentesco.
Seguendo questo filone di pensiero collegato al simbolismo russo, alla mistica orientale e all'esoterismo, si arriva al Futurismo,  che non fu esente da tali influssi.
 
Lo “spiritualismo futurista” è affrontato nel saggio di Francesco Tedeschi, il quale nota come le scoperte scientifiche caratterizzanti il periodo a cavallo tra Otto e Novecento possano esser da alcuni interpretati in chiave magica. Tanto che Boccioni nel 1908 annotò nel suo taccuino una preghiera alla “Grande madre”: «Possa io mantenere l'umiltà e la forza di presentarmi ai sacri misteri come un innocente senza ambizioni e falsità. Tutto quello che uscirà dalle mia mani sia un canto di adorazione di esaltazione dal filo d'erba all'albero...».
Al centro di tale corrente del primo Futurismo si trova Julius Evola che nel 1917, nella sua “Ouverture alla pittura della forma nuova” scrive: «Forma spirituale, perché non è la rappresentazione intellettiva dell'oggetto né l'interpretazione trascendentale dell'oggetto né alcuna simultaneità di forma colore e pensiero avente base nell'oggetto che la costituisce, bensì qualcosa che è assolutamente fuori dall'oggetto, che è rinchiuso in noi».
Proseguendo questa tendenza che porta l'indagine sul soggetto e sulle idee, anche l'universo meccanico viene trasfigurato come segno di una nuova possibile spiritualità. Al proposito Enrico Prampolini nel 1924, in “Architetture spirituali”, interpreta il nuovo universo meccanico come «Rivelazione della perpetua funzione dell'energia spirituale verso l'evoluzione creatrice. Rivelazione dell'enigma eterno tra mondo interiore e mondo esteriore. Rivelazione attraverso la sintesi della percezione pura....».

Ma ovviamente l'impulso più propriamente religioso nell'ambito futurista proviene da autori personalmente legati alla cultura cattolica. Tra i quali spiccano Dottori, Fillia, Severini.
 
Quest'ultimo già nel '25 intraprende l'opera di decorazione di alcune chiese nel cantone svizzero di Friburgo. E ovviamente dopo il Concordato, quando la possibilità di committenze ecclesiastiche diventa più consistente in Italia, cresce l'apertura del Futurismo verso l'ambiente culturale cattolico. Testimoni ne sono la “Mostra futurista di Aeropittura e di Scenografia” nella Galleria Pesaro di Milano (settembre 1929) e soprattutto l'Esposizione Internazionale d'Arte Sacra Moderna a Padova nel 1931; a quest'ultima parteciparono Casorati, De Pisis, Oppi, Gigliotti, Boldrin, Maraini, Peri e diversi altri. E nell'ambito della collaborazione tra arte e architettura si segnala soprattutto l'intesa tra Fillia, Giuseppe Oriani e Alberto Sartoris, riguardo alla progettazione di chiese di stampo futurista.
  
Ma il dialogo tra arte e Chiesa non è semplice. Pio XI nell'ottobre 1932 critica con durezza l'arte e l'architettura contemporanee e insiste «che tale arte non sia ammessa nelle nostre chiese e, molto più, non sia chiamata a costruirle...». L'alzata di scudi del Papa ha l'effetto di alimentare un dibattito più intenso, che coinvolge lo stesso Marinetti, il quale risponde mostrando il desiderio di dialogare. Come riferisce Tedeschi, Marinetti afferma «che l'architettura futurista non può limitarsi alla nudità dell'architettura razionalista, ma deve valersi dei mezzi offerti dai nuovi materiali per creare effetti che tocchino anche i sensi dei fedeli, così come, per quanto riguarda le espressioni figurative, giudica che l'errore del realismo, che in chiave moderna finisce col deformare i soggetti, è il pericolo al quale la pittura futurista ha ovviato nel tendere verso altre forme, che al meglio sono state espresse da Fillia...». E il dibattito diventa dialogo: nel 1935 la Biblioteca Ambrosiana di Milano ospita una mostra dedicata espressamente all'arte futurista.
 
Il saggio di Gian Alberto Dell'Acqua (“Maritain e Severini: un confronto”, uno dei suoi ultimi, pubblicato postumo), è breve e autobiografico. Dell'Acqua rimanda agli anni '30, quando egli si laureò all'Università di Pisa in una temperie dominata dal pensiero estetico di Croce e dall'attualismo teologizzante di Gentile. In tale contesto il pensiero cristiano resta ai margini: «il prevalere tra noi della cultura idealistica non poteva che ostacolare... la diffusione di un pensiero estetico volto ad affermare, rifacendosi ai principi tomisti, il carattere intellettuale dell'arte e inseparabilmente la concretezza dei procedimenti produttivi attuati nella materia dagli artisti. Non per nulla Maritain obiettava a Croce che il grande errore della sua posizione neohegeliana consisteva nel non riconoscere nella contemplazione artistica l'aspetto intellettuale insieme a quello intuitivo». Sullo sfondo di tale quadro culturale, Dell'Acqua introduce il forte legame che unirà Severini a Maritain. La vicinanza col pensatore francese porterà Severini non solo a recuperare le sue radici formative che si alimentano nel Quattrocento toscano, ma anche a impegnarsi nell'individuare modalità espressive consone al tempo presente.
 
Di questo parla lo scritto di Cecilia De Carli, intitolato: “Dal platonismo pitagorico al neo-tomismo maritainiano. Gino Severini: pittura murale nelle chiese della Svizzera romanda (1924-1934)”. L'evoluzione di Severini è il frutto di un percorso di maturazione culturale: dal furore dei primi tempi del futurismo movimentista e propagandista, alla pacatezza del ragionamento che indaga sui fondamenti della pittura, e in generale sul senso dell'essere. Severini infatti è artista e critico allo stesso tempo. E scrive diversi saggi in cui racconta il suo interrogarsi. «Il lento processo di elaborazione verso quell'ideale normativo che Severini formula nel suo saggio Du Cubisme au Classicisme (Esthétique du compas e du nombre), pubblicato nel 1921 a Parigi... segna, nella vicenda del pittore, una fase di cerniera che fa corpo da una parte con l'esigenza di ricapitolare tutte le acquisizioni dell'avanguardia futurista e cubista, compreso lo scardinamento dell'unità di tempo e di luogo e la conquista della sua autonomia, e dell'altra con l'avvio di un nuovo classicismo, che tuttavia non ha nulla a che fare con un ritorno accademico ai modelli esemplari...». La ricerca volge alla verità che sottende la natura: si rielaborano le domande: che cosa regga l'universo, che cosa lo generi, come l'arte possa ripercorrere i passi della originaria creazione... E così dalla ricerca delle regole sottostanti alla natura e alla sua rappresentazione – e dalla ripresa del pensiero degli antichi Greci sull'argomento – Severini sembra ripercorre le tappe seguite dalla filosofia, da Pitagora a Platone, ai neoplatonici per avvicinarsi al cristianesimo. A Parigi, dove vive, incontra Gabriel Sarraute, giovane studioso carmelitano, che sarà cruciale per accompagnare il pittore nella sua carriera artistica vissuta integralmente, con autentica passione. Questo porta ben presto a una decisione chiara: a dieci anni dalle sue nozze civili con Jeanne Fort, nel '22 Severini sposa la sua consorte in chiesa.
E tale è l'amicizia maturata tra lui e Sarraute, che quando questi nel '23 è chiamato a svolgere la propria missione a Carcassonne, decide di affidare l'artista italiano a Maritain, docente all'Istituto Cattolico di Parigi. Una scelta quanto mai propizia, tanto più che la casa di Jaques e Raissa Maritain diviene cenacolo di intellettuali di varia estrazione. Severini segue Maritain come si segue un maestro: ne studia i testi e si addentra nella filosofia tomista. Come spiega la De Carli: «Se l'Arte è una virtù intellettuale, essa tuttavia appartiene all'ordine pratico e non speculativo. In tale ordine pratico Maritain recupera una distinzione fatta dagli antichi tra “agire” e “fare” che gli permette di arrivare all'affermazione che “verità in arte è conformità ai suoi fini e ai suoi mezzi”, asserzione che si concilia con l'autonomia propugnata dalla moderna riflessione sull'arte». Di qui la concezione dell'artista come “creatore”, non “imitatore” della natura.
Ma in Maritain, oltre a una guida verso la maturazione nella fede, Severini trova una persona che lo introduce a tante nuove conoscenze negli ambienti cattolici francesi. In questo modo arriva a stringere amicizia con l'architetto Fernand Dumas, che stava realizzando una nuova chiesa a Semsales, nella Svizzera romanda. E che, apprezzato l'impegno spirituale del pittore italiano, gli chiede di affrescarne le pareti. Scrive De Carli: «Perfettamente conforme con l'orientamento di Dumas, che s'ispira all'architettura della basilica paleocristiana, Severini segue nel partito decorativo... con soluzioni che richiamano l'arte ravennate, ma la cui scansione è di matrice cubista». La lezione classica ritorna, rivestita di modernità. E l'intesa maturata sul piano teorico tra artista e architetto, porta a un progettare dialogato. Tale che Severini teorizza come all'artista non spetti di sovrapporsi o di “sfondare” con le sue pitture la materia, in quanto l'opera architettonica deve manifestarsi come unità. Ergo, l'arte deve armonizzarsi con l'architettura, e l'artista deve impegnarsi nell'aspetto «collettivo e sociale che questa esperienza pittorica contempla».
 
Ne risulta una pittura che, pur nella sua attualità, riecheggia la corposa autenticità delle figurazioni paleocristiane in tal modo superando il «mentalismo dei greci e il sensualismo mimetico dei romani».
Seguiranno altre chiese, con Dumas e con altri architetti: a La Roche (cantone di Friburgo), a Tavannes (Berna),  a Friburgo, a Losanna. Tutte opere compiute nel contesto di un intenso dialogo che coinvolge non solo l'artista e l'architetto, ma anche Maritain, quale filosofo e guida spirituale.
 
Sul nesso tra arti e filosofia nell'Italia del ventennio fascista si esprime Elena Di Raddo nel saggio “I Valori Primordiali di Franco Ciliberti”. Perché il primordialismo porta a indagare sul sentimento, sulla mistica e quindi anche sulle religioni, in quei circuiti intellettuali che hanno un asse privilegiato tra Milano e Como, ove si ritrovano personaggi vicini al regime quali Giuseppe Terragni, antifascisti quali Raffaele De Grada, “fascisti critici” quali Massimo Bontempelli, ebrei quali Adriano Ghiron ed Ernesto Nathan Rogers, cattolici quali Cesare Cattaneo e Mario Radice. Uniti dal comune interesse per l'estetica e per i nessi che collegano miti e religioni, a volte divisi dallo specifico approccio seguito. Così si espresse Ciliberti in una conferenza svolta a Como, sua città natale, nel '42 e intitolata La storia degli ideali dalle origini del cristianesimo a oggi: “Tutta la storia universale non è altro che la storia della meditazione e della contemplazione delle anime superiori le quali, ritrovando Dio in ogni cosa, riportano le cose alla loro sorgente divina”. Spiega la Di Raddo: «Egli crede profondamente che non soltanto l'opera del mistico, ma anche quella dell'architetto o dello scultore riconducano le cose a Dio. Un paesaggio dipinto è dunque, per Ciliberti, una “concezione”, mentre un quadro astratto è la “meditazione” sul mondo che, proprio attraverso l'espressione artistica, si “purifica” e “assume una nuova impronta”». In questo distinguendosi dal Bontempelli che propende per una visione in cui la magia è elemento fondamentale per mediare l'esperienza estetica. Al dissidio col pensiero magico, in Ciliberti, si somma anche l'incapacità di accettare il realismo cattolico. Alla concretezza che deriva dal messaggio dell'incarnazione e dalla capacità di muoversi sui sentieri percorsi dalla storia, sostenuta da Cattaneo e riaffermata da Radice nelle sue opere artistiche per alcune chiese moderne, Ciliberti preferisce l'ambizione purista dedita alla «contemplazione del primordio». «La sua intransigenza – conclude la Di Raddo – e il suo idealismo non gli hanno permesso mai di dare corpo concreto alle sue teorie e alla sua vita, terminata con il suicidio, e hanno contribuito anche all'oblio del suo pensiero che si è perso per raggiungere l'indistinto e unitario universale».
 
Il saggio conclusivo, di Giuseppe Lupo, è dedicato alla rievocazione di Edoardo Persico (“Domani, forse, sarà una bandiera”. Il 1936, Persico e i letterati), intellettuale napoletano che giunse a Milano nel '29, fondò la galleria d'arte “il Milione” e divenne direttore della rivista Casabella, nel '34 aderì al movimento architettonico razionalista e morì in modo misterioso nel '36. Subito riconosciuto, ha scritto Aligi Sassu, come “profeta della nostra giovinezza”. Mentre Sinisgalli lo considera “il nostro Péguy”. «La Tour Eiffel, la fabbrica del Lingotto a Torino, l'elogio del principio di utilità e di organizzazione vigente negli Stati Uniti... rappresentano tre icone care a Persico: l'architettura, l'industria, il taylorismo» scrive Lupo, evidenziando in Persico la volontà di innovazione che accoglie suggestioni che giungono da lontano – in un contesto, come quello dell'Italia fascista, volta all'autarchia – e attraverso la mediazione di una visione del mondo che, scrive Lupo, è «figlia ideale del pensiero agostiniano e quindi prologo terreno alla Civitas Dei».
 

25/06/2014
Valutazione
Il periodo preso in considerazione nel volume, quello che è stato caratterizzato dai conati nazionalistici attorno alla prima guerra mondiale e quindi dal fascismo, nel contesto di un'Italia ancora ben lontana dall'alfabetizzazione di massa, è irto di difficoltà. Perché il mondo intellettuale è privo di libertà e trascinato dagli umori prevalenti che danno luogo alla retorica del regime. Tenendo questo presente, si apprezza l'indagine svolta dai diversi Autori, allo scopo di ritrovare il modo in cui, attraverso le varie “mistiche” imperanti (nazionalismo, imperialismo, bellicismo, le prime proposte di un ritorno alla natura come rivolta contro l'imporsi del mondo industriale, ecc.) il pensiero cristiano riesca a riemergere e a estrinsecarsi anche in opere di valore artistico.
Risulta particolarmente interessante osservare (il che avviene in particolare grazie al saggio della De Carli incentrato sulla figura di Severini) come entro le file del futurismo emergano personalità capaci di scandagliare l'animo proprio e di unire l'estetica tipica del momento alla tradizione.
Si nota come la fatica e l'impegno per far crescere il dialogo tra Chiesa e arte non siano limitati a questi ultimi decenni, ma attraversino anche tutta la prima metà del '900, pur con tutti i tumulti che vi imperavano: a testimonianza di come il messaggio evangelico per forza propria viva e si rinnovi, e sappia reinverarsi in ogni circostanza.
Lungo la via che porta alla fedeltà per l'autenticità, aldilà delle molteplici declinazioni che possa assumere il dibattito tra correnti artistiche divergenti o contrapposte.
Come ha scritto Giovanni Paolo II, citato da Luciano Caramel in appendice: “La Chiesa ha continuato a nutrire un grande apprezzamento per il valore dell'arte come tale. Questa infatti, anche al di là delle sue espressioni più tipicamente religiose, quando è autentica, ha un'intima affinità con il mondo della fede, sicché, persino nelle condizioni di maggior distacco della cultura dalla Chiesa, proprio l'arte continua a costituire una sorta di ponte gettato verso l'esperienza religiosa”. (Da: “Lettera agli artisti”, 4 aprile 1999).
La vicenda di Severini risulta particolarmente significativa per il ruolo che vi giocano personalità quali il frate Gabriel Sarraute e il filosofo Jaques Maritain. La “committenza” artistica non è infatti semplice incarico professionale o espressione di “desiderata” che tengono conto delle finalità liturgiche, ma elaborazione collaborativa che  riesca ad estrarre il senso dell'opera dal congiungersi di sensibilità e di culture, di esperienze e di desiderio di donarsi. Una volta che si attivi questo tessuto di intese, le modalità specifiche divengono strumento docile.
Le esperienze di cui si parla nel volume, avvenute solo pochi decenni or sono, in un contesto per alcuni aspetti molto lontano da quello attuale (quello delle circostanze sociali e politiche) ma vicino per altri aspetti (quali quelli relativi alla percezione di distacco tra il linguaggio dell'arte e quello della Chiesa) costituiscono una serie di precedenti di cui far tesoro per ripensare a come continuare oggi sulla strada del dialogo collaborativo tra arte e fede. 
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