Omelia in occasione della Festa di Sant'Antonio

Carissimi fratelli e sorelle di Rieti,
sono tornato volentieri nella vostra città, per un tempo, legata anche civilmente alla regione Umbria, per onorare con voi la memoria di Sant’Antonio di Padova: uno dei santi più noti e popolari dell’intera cristianità. Ero giù stato a Rieti per celebrare, nella chiesa cattedrale, il 550° anniversario della nascita della Beata Colomba, la mistica che unisce da secoli la città di Rieti e quella di Perugia.
Ringrazio di vero cuore il fratello ed amico vescovo Domenico, per l’invito che ha voluto rivolgermi, saluto i sacerdoti, i consacrati, le autorità qui presenti e tutti i fedeli.
Quest’anno la festa di Sant’Antonio cade alla vigilia della solennità del Corpo e Sangue del Signore (Corpus Domini): il mistero dell’Eucarestia si inserisce bene nella vita di Antonio. Tutti ne conosciamo la fede e la pietà eucaristica.
Le letture della solennità non solo ci aiutano a comprendere tale mistero, ma ci permettono anche di riflettere sulla nostra realtà.
Nella pagina del libro del Deuteronomio, poco prima che il popolo di Israele entri nella Terra promessa, Mosè ricorda quanto Dio ha compiuto per essi: ha liberato gli Ebrei dall’Egitto, e non ha fatto mai mancare la sua Provvidenza: pensate ai quarant’anni nel deserto. Due sono i segni su cui Mosè si sofferma nella lettura ora proclamata: l’acqua, elemento essenziale per la vita, e la manna.
Mi torna alla mente quanto ho avuto occasione di scrivere alla mia Chiesa di Perugia, il 23 aprile, proprio nel tempo di deserto, che la pandemia ci ha costretto a vivere. Dicevo: «A un tratto ci siamo trovati nel deserto, esattamente come è accaduto al popolo di Israele. Quante volte, nel mondo cristiano, ci siamo riempiti la bocca di questa parola, il deserto: “facciamo un momento di deserto!”. Cioè prendiamoci uno spazio, un tempo di preghiera e solitudine. Ma si trattava di un deserto che avevamo scelto noi e che, alla fine, ci dava anche un po’ di gratificazione. Oggi, invece, – scrivevo – ci troviamo in un deserto che non abbiamo scelto, che ci appare pieno di pericoli mortali e del quale non si vede ancora la fine. E la Chiesa condivide con l’intera umanità questa improvvisa condizione di deserto globalizzato. Come riuscire a viverla? Questo è il punto su cui può venirci in aiuto la parola di Dio: che cosa ci può dire la Scrittura in relazione al deserto? E al deserto dei nostri giorni?»
Cari fratelli e sorelle, le letture di questa solennità ci permettono ancora di capire, forse più di quanto non avessimo mai compreso prima, quanto importante fosse la manna per Israele, e anche quanto – per noi discepoli di Gesù – sia così prezioso il “pane disceso dal cielo”, che è l’Eucaristia, il Corpo e Sangue di Cristo.
Nel tempo appena trascorso, anche se i presbiteri non hanno cessato di offrire nella celebrazione quotidiana dell’Eucaristia il corpo di Cristo per tutti, pregando incessantemente per il bene della Chiesa e del mondo, il fatto che a molti fedeli sia mancata la possibilità di nutrirsi del “pane del cielo” ha indubbiamente fatto crescere il desiderio e la nostalgia per quel dono di Dio.
L’Eucaristia infatti è il pane che ci nutre ogni giorno, e come si legge nella pagina del Vangelo appena proclamato, senza quel pane non abbiamo in noi la vita (cf. Gv 6,53). Così, come ogni giorno chiediamo al Padre il “pane quotidiano”, che non può mancare sulle nostre tavole, nelle nostre famiglie, così la Chiesa ha compreso che senza l’Eucaristia non possiamo vivere.
Per tornare al tempo di pandemia che abbiamo trascorso, certamente sono state molto importanti le occasioni di preghiera a cui si è potuto partecipare attraverso i mezzi di comunicazione di massa; ricordo non solo la Messa quotidiana a Santa Marta con Papa Francesco, ma anche il momento straordinario di preghiera tenutosi sul Sagrato della Basilica di San Pietro, il 27 marzo 2020: qualcuno ha definito questo evento uno dei più significativi del suo Pontificato. Ma se queste e altre occasioni ci hanno permesso di rafforzare la nostra preghiera nella “chiesa domestica” che è la famiglia, solo con la partecipazione alla Mensa della Parola e dell’Eucaristia si è tornati a quello che Gesù ci ha chiesto di fare, quando ha detto in quell’ultima cena: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,24).
Sant’Antonio di Padova aveva ben compreso l’importanza dell’Eucaristia, e in uno dei suoi Sermoni – cioè quegli critti, per i quali è diventato giustamente famoso, centrati sulla Sacra Scrittura e destinati alla formazione e alla predicazione – in uno dei suoi Sermoni, scrive: «Alcuni, a motivo del rispetto che nutrono per il corpo di Cristo, dicono: “Signore, non sono degno”; e perciò si astengono dall’accostarsi con frequenza all’Eucaristia; altri invece, proprio per onorare il corpo di Cristo, lo ricevono con gioiosa riconoscenza».
 
Non ci stupisce che uno dei primi figli di San Francesco avesse così chiara l’importanza del Corpo e Sangue del Signore. Ricordiamo infatti che tra gli scritti del Santo di Assisi vi è la Prima delle Ammonizioni, ovvero la raccolta di esortazioni tenute a tutti i suoi frati, nella quale si parla del miracolo che avviene ogni giorno con la celebrazione dell’Eucaristia: «Ogni giorno [il Figlio di Dio] si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sopra l’altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi apostoli apparve in vera carne, così ora si mostra a noi nel pane consacrato. E così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, vediamo e fermamente crediamo che il suo santissimo corpo e sangue sono vivi e veri» (FF 144).
Carissimi, ricorre quest’anno l’VIII Centenario della vocazione francescana di Sant’Antonio, che seguì il Santo d’Assisi grazie all’esempio dei Protomartiri francescani partiti dall’Umbria alla volta del Marocco. La vista dei martiri fu una vera e propria testimonianza per lui, che dopo il lungo periodo trascorso in un eremo, nel nascondimento a Montepaolo, divenne famoso per la sua predicazione e per i suoi miracoli.
Antonio, figlio amato di Francesco d’Assisi, nacque a Lisbona nel 1195 e morì a Padova all’età di soli 36 anni, il 13 giugno 1231. Il popolo che egli aveva sempre difeso nella fede e contro i soprusi, subito lo proclamò santo e lo scelse come patrono. Appena ad un anno dalla morte, Papa Gregorio IX lo canonizzò.
Era lo stesso Papa che quattro anni prima, il 16 luglio 1228, aveva iscritto nell’albo dei santi San Francesco d’Assisi. Nel 1263 San Bonaventura fece la ricognizione dei suoi resti mortali, e ne trovò la lingua intatta. Papa Pio XII, nel 1946, lo dichiarò Dottore della Chiesa.
Il “Santo dei miracoli” aiuti ancora oggi la Chiesa a comprendere la misteriosa volontà di Dio per questi tempi così difficili e impegnativi, e interceda per noi dall’alto, perché – confortati e nutriti dal Corpo e Sangue di Cristo – possiamo comprendere cosa fare in questo tempo e così compiere la sua Santa volontà. Amen!

S. Em. Card. Gualtiero Bassetti

13 Giugno 2020

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