Oggi è davvero un giorno speciale per tutti noi, occasione che ci è cara per ringraziare del nostro servizio e comprenderlo alla luce della figura di S. Ambrogio, prefetto. Ne abbiamo bisogno, considerando le tante sfide che ci troviamo ad affrontare con la comunità nazionale e le tante comunità unite tra loro dalle istituzioni tutte che voi servite in quella casa comune che è la Repubblica Italiana. Tra poco festeggeremo i 75 anni della sua Costituzione. Siete i rappresentanti e i garanti dell’Unità, dono che impone responsabilità e solidarietà a tutte le singole parti. La memoria del patrono ci fa sentire parte di un corpo, quindi non isolati e anche di questo ne abbiamo un grande bisogno, specialmente quando accade che il nostro lavoro non venga riconosciuto. Sfuggite, però, al coro dei pessimisti – coro sempre molto folto, così come quello del “tirare a campare”, dei lamentosi, di quelli che se la prendono sempre con qualcuno e poi non fanno quello che possono fare per cambiare. A proposito vorrei ricordare con voi uno dei sopravvissuti alle stragi di Marzabotto, Francesco Pirini, scomparso nei giorni scorsi, che aveva faticosamente ma poi gioiosamente scelto di perdonare chi aveva ucciso tutta la sua famiglia. Diceva con semplicità e dolorosissima consapevolezza che “bisognava fare il popolo europeo” (quindi anche con gli assassini – non pentiti – della sua famiglia)” e aggiungeva: “per quanto mi riguarda voglio dare un contributo per costruire un mondo migliore. Bisogna pure che qualcuno inizi e io ho capito che dovevo fare la mia parte”. È tutto qui per tutti: fare la nostra parte, anzi la mia parte, quello che è chiesto a me. Chiaro per tutti. Grazie caro Francesco.
Siamo in un momento e questa della guerra, davvero mondiale, non più uno dei pezzi. È decisivo sfruttare le opportunità, irripetibili, che dolorosamente sono state offerte per ricostruire e permettere il futuro. Le occasioni non tornano. È il tempo opportuno, non uno dei tanti tempi. La pandemia ci ha mostrato la verità dei nostri problemi e delle necessità, svelando le tante fragi8lità frutto di rimandi, di incoscienza, di ignoranza. Possiamo occultare la verità dei problemi, coprirla con la furbizia o continuare a cercare la propria convenienza e basta. Occorre rigore personale, senza dichiarazionismi fasulli e ingannevoli, con serietà, affrontando i problemi e cercando le soluzioni che sono per tutti, non di una parte. Certo, sappiamo quanto deve crescere la fiducia nelle istituzioni e anche quanto è necessario rimuovere le lentezze e le difficoltà nei meccanismi amministrativi, i ritardi nei controlli e nel rendere consapevoli dei doveri. Ma sappiamo anche come questo richiede tanto lavoro, abnegazione silenziosa, a volte non riconosciuta. Basta un problema per confermare tutti i pregiudizi e vanificare tanto impegno!
Pensando a voi riprendo l’immagine proposta da una mistica francese, Madeleine Delbrêl, donna molto spirituale e proprio per questo sociale, che di persone come voi pensava fossero il filo che tiene insieme il vestito. La capacità dei veri sarti è proprio quella di non farlo vedere, ma il filo è indispensabile perché i pezzi di stoffa si reggano insieme. Ce se ne accorge, purtroppo, quando lo si strappa. Così il vostro lavoro è indispensabile per le istituzioni della nostra casa comune, per garantire il buon funzionamento e l’unità, condizione e frutto della pace e del pensarsi insieme. Ogni logica individualista, nel piccolo e nel grande, mina o limita il significato dell’unità e si trasforma sempre in divisione e inimicizia. L’unità non è mai scontata, perché richiede sapere lavorare e fare lavorare insieme, in modo efficiente per garantire che tutti possano contare sulle cose comuni.
Ci aiuta Ambrogio, vissuto diciassette secoli fa ma che ha tanto da dire nel nostro presente. Ambrogio impara dalla vita, maestra a volte severa, a spostarsi, ad andare là dove è chiamato ad andare e a mettere ovunque a frutto i suoi talenti, – educato com’era alla severa scuola del diritto romano e della dedizione alla res pubblica come orizzonte per cui ben valeva la pena di spendersi. Sulla facciata del Palazzo di Giustizia di Milano campeggia la scritta che lo orientava: Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere (“Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo”, definizione codificata da Ulpiano e risalente a Cicerone. Ambrogio la corregge solo nel modificare il “basta non nuocere” perché bisogna amare. Andrà anche lui dove venne chiamato. Il Signore usa gli accadimenti umani, anche quelli apparentemente più oscuri o casuali, per trasformarli in occasione di amore per sé e per gli altri. Ambrogio impara ad adattarsi – che non è affatto accontentarsi della mediocrità o del ribasso – per fare di ogni luogo in cui si è chiamati il luogo in cui servire per aiutare il bene proprio e altrui. Quante volte voi avete dovuto fare le valigie e ricominciare! Qualche volta abbiamo vissuto il cambiamento come una ferita, specie quando abbiamo lasciato certezze consolidate o per conseguenze familiari faticose. Qualcuno interpreta il trasloco come un lutto da elaborare. Voi lo fate rapidamente! Sono anche opportunità per storie di vita nuove e mettere a servizio l’esperienza accumulata. Non è mai solo un “trasferimento di sede”, uno spostamento fisico da un posto ad un altro, ma sempre cercare di “servire meglio”. Chi serve si trova a casa ovunque e l’altro diventa un prossimo.
Gesù ci illumina: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così: ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,20). Il vero potere, più grande di qualunque carriera e anche riconoscimento, è esercitare il potere come servizio. Per il cristiano il grande è colui che si abbassa sul prossimo, non chi si innalza da solo. Per questo Ambrogio venne amato dalla gente – e non è forse questo il riconoscimento più vero e duraturo? – tanto che più tardi lo acclamerà vescovo. E per chi tra di voi è emerito sappiamo che il servizio non finisce e la consapevolezza di avere fatto tutto per servizio, in modo personale ma senza nessun personalismo, è la più grande consolazione. «I filosofi ritennero che la giustizia consistesse pure nel considerare le cose pubbliche come pubbliche, le private come proprie. Dio comandò che tutto si producesse a comune beneficio di tutti e che la terra fosse in certo qual modo comune possesso di tutti”, disse Ambrogio. Gesù buon pastore dà la propria vita per le pecore, tutte. Dare la vita. Penso a Carlo Alberto Dalla Chiesa, che fu Prefetto di Palermo ma sono sicuro che voi portate nel cuore tanti colleghi la cui vita è stata donata per il servizio, per le cose di tutti. Questa è la differenza con il mercenario che fugge, non protegge le pecore ma sé stesso: non si prende responsabilità, rimanda oppure non fa nulla o solo quello che porta alla convenienza personale. Il compito del pastore è rendere unito il gregge, accorciare le distanze, ricomporre le fratture, riportare la pace. Questa è stata anche l’esperienza di Ambrogio. Chissà quante volte anche voi vi sarete trovati e quante volte ancora vi troverete in questa posizione? La posizione di chi è chiamato ad ascoltare le diverse istanze, deve far dialogare le parti, comprendere la soluzione giusta. Ambrogio in un’epoca di forti tensioni sociali e religiose fa dialogare le parti e trova le soluzioni, ad iniziare da quelle che difendono i più fragili, i poveri, quelli che non ce la fanno e hanno bisogno di protezione. «Il dialogo è l’ossigeno della pace» ha detto papa Francesco. E quanto è necessario, anche per il buon funzionamento della cosa pubblica, anche tra i diversi componenti, che altrimenti rischiano di non comunicare tra loro e disperdere i mezzi e le possibilità.
Questo è il mio augurio per voi e per me: di essere persone di dialogo, di giustizia e di pace, che esercitano il necessario governo con l’arte di questo, sempre contro ogni prepotenza e un uso personale del bene comune. Quello che insegna Gesù e che sperimentano chi cerca di seguirlo.
Ci serve Gesù, che nasce tra gli uomini per mostrare la sua presenza, per insegnarci ad amare. Di Gesù Ambrogio disse: Se vuoi curare una ferita, egli è medico; se sei riarso dalla febbre, egli è la fonte; se sei oppresso dall’iniquità, egli è giustizia; se hai bisogno di aiuto, egli è la forza; se temi la morte, egli è la vita; se desideri il cielo, egli è la via; se fuggi le tenebre, egli è la luce; se cerchi cibo, egli è l’alimento. Cristo è tutto per noi”. E per tutti.
S.Em. Card. Matteo Maria Zuppi