Introduzione alla 76ª Assemblea Generale della CEI – 23-27 maggio 2022

Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI
Cari Confratelli,
desidero rivolgere subito un pensiero grato al Santo Padre, con il quale ieri abbiamo intavolato un dialogo sincero e appassionato. Gli rivolgiamo un pensiero grato per il tempo che ci ha donato e gli confermiamo il nostro affetto, la nostra vicinanza e la nostra preghiera.
E mi sia permesso a questo punto rivolgergli un ringraziamento personale, riprendendo quanto ho anticipato ieri. In questi anni, nella veste di Presidente di questa Conferenza Episcopale ho potuto godere di un rapporto diretto con Lui, che mi ha fatto sentire ancora di più non solo all’interno della Chiesa che è in Italia, ma anche parte della Chiesa universale. Lo ringrazio per la fiducia che mi ha sempre accordato e del cammino che abbiamo percorso insieme a servizio della Chiesa.
Cari Confratelli, salutiamo con affetto il Nunzio Apostolico in Italia, S.E.R. Mons. Emil Paul Tscherrig, presente come sempre alla nostra Assemblea, e lo ringraziamo di cuore per le parole che vorrà rivolgerci.
Un saluto sincero va a S.E.R. Mons. Gintaras Grušas, Arcivescovo di Vilnius (Lituania) e Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa.
….
È giunto per me il momento di consegnare a tutti e a ciascuno di voi alcuni pensieri a conclusione del mio mandato di Presidente della CEI: sono pensieri che inevitabilmente si mescolano con un po’ di emozione, ma che sono arricchiti – mi sento di dire – soprattutto da una forte speranza cristiana.
In realtà, negli ultimi mesi e anche negli ultimi giorni della mia Presidenza non sono mancati eventi drammatici, che hanno segnato la vita di tutti noi. Penso al Covid-19, che mi ha colpito per ben due volte. La pandemia, con le sue drammatiche ripercussioni che si faranno sentire ancora a lungo, ha fatto sì comunque che l’intera umanità abbia percepito di essere di fatto una grande famiglia, formata da soggetti il cui destino è legato a quello degli altri.
Da oltre tre mesi, poi, siamo raggiunti e scossi dalle notizie di una guerra tanto inattesa quanto brutale e ingiustificabile, che ha luogo nel territorio della Repubblica di Ucraina. Oltre a sostenere le doverose vie diplomatiche, più volte il Papa ha pronunciato parole accorate per fermare gli orrori della guerra. Così, già durante l’Angelus del 27 marzo scorso, aveva detto: «La guerra non può essere qualcosa di inevitabile: non dobbiamo abituarci alla guerra! Dobbiamo invece convertire lo sdegno di oggi nell’impegno di domani. […] Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia». Mentre la Chiesa che è in Italia si trova fortemente impegnata per alleviare le sofferenze della popolazione ucraina e dei rifugiati, soprattutto grazie al prezioso lavoro di Caritas Italiana, non possiamo non continuare a chiedere pressantemente, insieme a tante associazioni, movimenti e aggregazioni laicali, che le armi vengano deposte e che si apra una nuova stagione di riconciliazione, di giustizia e di pace.
Gli incontri del Mediterraneo Frontiera di pace, che si sono svolti a Bari nel 2020 e a Firenze lo scorso febbraio, andavano proprio in questa direzione. Il testo della Carta, firmato a conclusione dell’evento nel capoluogo toscano, ha espresso il forte desiderio di comunione e di pace, che emerge da tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Tenendo conto di questo complesso contesto storico, con il quale inevitabilmente fa i conti la vita quotidiana di ciascuno di noi, mi permetto adesso di consegnarvi alcuni punti che mi stanno a cuore e che in parte hanno ispirato la mia Presidenza.
Il tempo liturgico che stiamo vivendo mi ha aiutato a trovare una chiave di lettura e a mettere in ordine quanto desideravo comunicarvi. Siamo quasi giunti alla celebrazione dell’Ascensione di Gesù, a cui farà seguito la Pentecoste. Mi sono lasciato quindi guidare da queste icone bibliche, tratte dal libro degli Atti degli Apostoli (At 1,11; 2,1-13), perché vi trovo espressi alcuni punti che hanno caratterizzato la mia esperienza di questi ultimi cinque anni: lo sguardo dei discepoli rivolto a Gesù, la Chiesa impegnata a raccontare al mondo che Dio è Padre, il fuoco dello Spirito che spinge al rinnovamento e la comunità cristiana primitiva in cui sono annoverate Maria e le donne.
1. Con lo sguardo rivolto a Gesù
L’immagine da cui desidero partire è quella dei discepoli che guardano il cielo, mentre Gesù si allontana da loro (cfr. At 1,9). È una scena di commiato, ma anche di grande speranza nel futuro per l’attesa confidente dello Spirito. I discepoli sono tali perché hanno guardato il Maestro finché non è stato sottratto alla loro vista, mentre si rivolgeva a loro con atteggiamento benedicente. Da quando lo hanno conosciuto lo hanno accompagnato sempre e non hanno più tolto gli occhi da lui. Anche se c’è stato un momento drammatico in cui sono miseramente “scappati”, dopo si sono fatti comunque trovare all’appuntamento che Gesù aveva dato loro in Galilea (cfr. Mc 14,28).
Ho provato in questi anni a rammentare a me stesso e a chi ho incontrato la necessità di non perdere il contatto costante e cordiale con Gesù, nel cui solo nome c’è salvezza (cfr. At 4,12). Ho avuto l’opportunità di conoscere tante persone, credenti e non-credenti. E sono diventato sempre più consapevole delle differenze, anche tra di noi Vescovi. Ma posso dire che mi è sempre più chiaro che, nonostante la varietà di sensibilità e di prospettive, ciò che ci accomuna è questo sguardo fisso su Gesù, trasparenza di Dio Padre. Quando sento la parola “comunione” penso quindi con realismo ma soprattutto con fiducia a ciò che ci accomuna. Anche i discepoli tra loro erano molto diversi, ma è stato proprio lo sguardo convergente sul Maestro che li ha resi Apostoli e successivamente Pastori.
Le amicizie spirituali più belle e durature tra di noi nascono in questo orizzonte. A questo proposito desidero rivolgere subito una parola di profonda gratitudine al Signore per S.E.R. Mons. Stefano Russo, che ha servito la CEI con me in questi ultimi quattro anni e che il Santo Padre ha ora chiamato ad essere Pastore della Chiesa di Velletri-Segni. Ho potuto apprezzare, come immagino ha fatto anche ciascuno di voi, la delicatezza del suo tratto umano. Anche quando le problematiche da affrontare sono state difficili, don Stefano ha cercato sempre le soluzioni migliori, che tenessero conto del parere degli organismi di partecipazione. Sento quindi di farmi interprete dell’Assemblea, della Presidenza e di quanti servono la struttura della CEI esprimendo a don Stefano il nostro ringraziamento e augurandogli ogni benedizione nel suo nuovo ministero.
Profitto per ringraziare qui di cuore i Vice-Presidenti, il personale della Segreteria e più in generale tutto il personale della CEI, uomini e donne, presbiteri, religiosi e laici, con cui ho condiviso la mia responsabilità di Presidente. Ho conosciuto e goduto delle vostre competenze e del vostro spirito di abnegazione. Il Signore saprà sostenere ancora il vostro essere a servizio delle varie realtà della Chiesa che è in Italia.
Questi anni mi hanno rafforzato nella convinzione dell’importanza della CEI e in particolare di questa nostra Assemblea. Si tratta di due luoghi in cui si esprime concretamente, anche se a titolo diverso, la comunione e la collaborazione tra di noi Vescovi. Di certo, la storia suscita sempre nuove domande ed esigenze, alle quali bisogna saper rispondere con sapienza. Il libro degli Atti ci racconta di Apostoli impegnati, ciascuno secondo la propria indole e le proprie inclinazioni, ad annunciare il Vangelo in contesti diversi. Comunione e missione mi sembrano due parole chiave anche per la CEI, che andrà disegnandosi nel prossimo futuro.
Cari Confratelli, il nostro essere insieme discepoli e Pastori dipende dallo sguardo convergente su Gesù, che ci rende forti per affrontare le responsabilità che ci attendono. Vi consegno quindi questo primo pensiero, prendendo a prestito le parole di san Paolo: «Non vergogniamoci del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (cfr. Rm 1,16). Seguiamo Gesù fino alla fine, viviamo la comunione tra di noi fondandola sull’essenziale della fede. A quel punto potremo raccontare la nostra esperienza di credenti nel Risorto, educare alla vita buona del Vangelo, consegnare la Parola di Dio a quanti si attendono da noi una luce e un conforto.
2. Testimoni del Padre
Nella stessa scena dell’Ascensione, i discepoli sono però subito invitati a non restare più a guardare, ma ad attendere fattivamente il ritorno di Cristo nella gloria (cfr. At 1,10-11). In cosa consiste questa attesa? Cosa può fare un cristiano oggi e cosa può fare, in particolare, un Pastore come me o come ciascuno di voi?
La mia risposta, frutto della esperienza di questi anni, è: essere padre! Nel tempo dell’attesa della parousia, come discepoli possiamo testimoniare la paternità di Dio, come ce l’ha rivelata Gesù. Essere padre di una comunità cristiana oggi significa incontrare le persone ed entrare in sintonia con loro: saper piangere con chi piange e gioire con chi gioisce (cfr. Rm 12,1). Significa sviluppare l’arte del dialogo approfondito e sincero. Significa orientare la vita propria e altrui verso il bene possibile. Significa prendere delle decisioni, solo dopo aver ascoltato la voce della Parola di Dio e quella delle donne e degli uomini di buona volontà.
Il nostro Paese è ricco di persone così, testimoni spesso silenziosi ed efficaci del Vangelo. Proprio in questi giorni, a distanza esatta di trent’anni, stiamo commemorando i morti della strage di Capaci e di via d’Amelio, in cui hanno tragicamente perso la vita i giudici Falcone e Borsellino, insieme con altri familiari e servitori dello Stato. Questa è l’occasione per fare memoria anche di Rocco Chinnici, Piersanti Mattarella, Rosario Livatino, don Pino Puglisi e di tanti altri martiri della giustizia. A tutti loro si addice la beatitudine che Gesù annuncia nel Discorso della montagna: «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10). Dal loro sacrificio, cosciente ed eroico, è nato un atteggiamento nuovo di condanna chiara delle mafie, che ha inciso anche nella vita di tutti noi come credenti e come cittadini. Falcone e Borsellino sono diventati “padri di una nuova generazione”, smuovendo le coscienze soprattutto dei giovani.
Vedo qui una priorità anche del nostro servizio di Pastori: l’educazione dei giovani. Come padri possiamo e dobbiamo educare la coscienza dei giovani: una educazione cristiana matura apre le porte alla vera libertà. Ai giovani voglio dire con Tonino Bello: «La vostra vita vivetela bene, perché vi capita di viverla una volta soltanto: non bruciatela! È splendida, soprattutto, se la vostra vita la mettete a servizio degli altri, sarà questo il modo per non perderla. Perderete il sonno, ma non la vita. Perderete la quiete, ma non la vita. Perderete tantissime cose, ma non la vita!».
A questo proposito, non posso non pensare a quanto abbiamo vissuto lo scorso 18 aprile. Migliaia di adolescenti hanno colorato Piazza San Pietro che durante la pandemia era vuota: in quella occasione siamo stati investiti dal loro entusiasmo e dal loro affetto. Le loro riflessioni sono state una provocazione per tutti noi adulti a rimanere aperti alle istanze delle nuove generazioni. La loro presenza è un incoraggiamento alla ripresa responsabile e creativa delle attività educative.
A riguardo, confermiamo il nostro impegno per la tutela dei minori e la prevenzione degli abusi. Vogliamo ambienti sicuri e a misura dei più piccoli e vulnerabili. Per questo, come già ribadito in altre occasioni, intendiamo promuovere una migliore conoscenza del fenomeno degli abusi per valutare e rendere più efficaci le misure di protezione e prevenzione.
Da ex rettore di Seminario lasciatemi dire che i nostri ragazzi, sin dai primi anni della loro vita, sono portatori sani di una energia straordinaria: attendono solo testimoni credibili e affidabili, capaci di consigliare il modo in cui trasformare questa forza vitale estemporanea in felicità duratura.
Ma noi come cristiani, come Pastori, siamo felici? Riusciamo ad essere veramente padri, figure significative come testimoni e come guide? Sappiamo trasmettere la passione per la vita che conduciamo? Riusciamo a raccogliere i sogni dei giovani sul loro futuro e a trasformarli in progetti di vita alla luce del Vangelo? Riusciamo a cogliere queste scintille per farle maturare sino a diventare a loro volta luci perenni per gli altri?
3. Il fuoco dello Spirito
Lo Spirito che invade la neonata comunità cristiana è paragonato ad un vento impetuoso e al fuoco (cfr. At 2,2-3). Si tratta di un’immagine plastica per dire che quando lo Spirito arriva non lascia le cose come stavano prima: piuttosto le muove e le purifica. Non solo: il primo effetto della Pentecoste è che tutti sentono i discepoli parlare nella propria lingua.
Questo quadro mi rimanda al Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, che abbiamo avuto l’onore di avviare insieme, inserendolo nel contesto del Sinodo che il Santo Padre ha chiesto alla Chiesa universale. Il suo primo effetto importante è che ci stiamo reciprocamente ascoltando. Questo non avviene senza fatica, è indubbio: però tutti stiamo percependo la bontà di una simile operazione. Stiamo rovesciando la piramide: noi Pastori non siamo più all’inizio di ogni processo ecclesiale, ma siamo piuttosto il terminale di un percorso che coinvolge tante persone di buona volontà. Stiamo cambiando la mentalità comune che delegava tutto al Vescovo. Stiamo comunicando la necessità che ogni cristiano, secondo la sua specifica vocazione, partecipi attivamente e responsabilmente alla vita ecclesiale. Stiamo declinando il principio conciliare della chiamata universale alla santità (Lumen Gentium, nn. 39-42). Inoltre, stiamo concretizzando quella partecipazione sempre più chiara e attiva dei fedeli laici alla missione della Chiesa, auspicata ancora dal Concilio (Apostolicam Actuositatem, n. 1) e sostenuta con forza da Papa Francesco.
Tra un anno l’ascolto cederà il passo al discernimento sapienziale. Mi pare che si possa quindi intravedere una stagione ecclesiale nuova, ricca di straordinarie possibilità di crescita. Una vera stagione dello Spirito. Qualcuno di noi proprio durante l’Assemblea generale dello scorso anno lo aveva detto: «Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia non può non essere un’avventura dello Spirito». Desidero quindi riconsegnare a ciascuno di voi questa grande sfida, che andrà oltre il mio mandato e che continuerò a seguire con simpatia e nella preghiera.
C’è ancora un altro aspetto della scena della Pentecoste che desidero raccogliere e rilanciare in questa occasione. Benché lo Spirito dia la possibilità di intendersi nella stessa lingua, non tutti coloro che incontrano i discepoli condividono quanto essi annunciano: alcuni restano perplessi, mentre altri persino li deridono (cfr. At 2,12-13). Questo non ci deve stupire né ci deve scoraggiare: è stata anche l’esperienza di Gesù, che è stato frainteso, sbeffeggiato e osteggiato sino ad essere ucciso. Se la Chiesa si fa davvero inondare dallo Spirito può diventare anche la coscienza critica della società e subirne quindi l’ostilità. Ma i cristiani obbediscono a Dio e non agli uomini (cfr. At 4,19): per questo, pur nella piena distinzione dei ruoli, anche noi Pastori non manchiamo di far sentire la nostra voce, quando riteniamo che siano minacciate le persone, soprattutto le più deboli. In questo preciso momento sono tante e delicate le questioni su cui la politica è chiamata a decidere, come il coinvolgimento del nostro Paese nella guerra in corso in Ucraina, l’applicazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il sostegno economico alle famiglie e alle imprese, la questione del Mezzogiorno, l’ambiente, l’immigrazione, il fine vita. A proposito del delicato tema del fine vita, Papa Francesco si è espresso recentemente con queste parole: «Purtroppo, negli ultimi anni c’è stato un mutamento della mentalità comune e oggi siamo sempre più portati a pensare che la vita sia un bene a nostra totale disposizione, che possiamo scegliere di manipolare, far nascere o morire a nostro piacimento, come l’esito esclusivo di una scelta individuale. Ricordiamo che la vita è un dono di Dio! Essa è sempre sacra e inviolabile, e non possiamo far tacere la voce della coscienza» (Regina Coeli, 22 maggio 2022).
Il credente oggi più che mai deve accettare il rischio della carità politica, sottoposta per sua natura alle lacerazioni delle scelte difficili, alla fatica delle decisioni non da tutti comprese, al disturbo delle contraddizioni e delle conflittualità sostenibili, al margine sempre più largo dell’errore costantemente in agguato. Il politico cristiano imbocca la strada da Gerusalemme a Gerico, non passa oltre per paura di contaminarsi, non si rifugia nei suoi affari privati. È un mestiere difficile, non c’è dubbio: non solo perché non deve assolutamente clericalizzare la politica, ma perché deve anche evitare qualunque forma di integralismo, che ridurrebbe il messaggio evangelico ad una ideologia sociale. L’esercizio della politica resti “laico”.
Una Chiesa in ascolto dello Spirito è anche una Chiesa che, quando necessario, sa disturbare i governanti, chiedendo di tenere alto il livello della discussione, di uscire dalle logiche esclusivamente economiche e di mettere al primo posto la dignità della persona, di ogni persona. A questo proposito, è opportuno e mi fa piacere sottolineare alcuni dati che Caritas Italiana ha reso noto di recente. In particolare, rilevo che le Diocesi italiane, attingendo ai fondi diocesani, stanno svolgendo attività di accoglienza e integrazione: ad oggi 148 diocesi hanno accolto quasi 11.000 ucraini, di cui circa 5.000 minori.
4. I discepoli e le discepole
Tornando alla scena degli Atti degli Apostoli, mi pare infine di riconoscervi i primi passi di una comunità cristiana che al suo interno è già ben articolata e valorizza i carismi di tutti: oltre agli Apostoli, Luca annovera infatti la Madre e i parenti di Gesù, nonché le donne di Galilea (cfr. At 1,14); e poco dopo dirà che anche i pagani si sono via via uniti a questo nucleo iniziale (cfr. At 9,31).
La nostra attenzione è spesso concentrata su Maria: non può non colpire il fatto che si ritrovi in preghiera con coloro che avevano abbandonato il Figlio. La Madre è davvero la prima discepola: ha imparato dal Figlio cosa significa sperare contro ogni speranza, perdonare chi ci ha ferito, ricucire le ferite della vita con l’amore, tornare a sentirsi fratelli in Cristo e figli di Dio Padre. Ma accanto a quella di Maria mi piace consegnarvi anche l’immagine delle donne venute dalla Galilea (cfr. Lc 8,2-3). Luca le ha molto valorizzate nel suo Vangelo. Del resto, sono loro ad essere presenti alla crocifissione e alla sepoltura di Gesù (cfr. Lc 23, 49.55) e le prime testimoni della tomba vuota e del Risorto (cfr. Lc 24,1-2.5-8).
Queste figure femminili hanno molto da insegnare alla nostra Chiesa, al nostro modo di essere Chiesa. È tempo di valorizzare la dimensione femminile della Chiesa attraverso scelte concrete, che legittimino il ruolo che tante donne già svolgono in vari ambiti dalla catechesi alla carità. È tempo di compiere scelte nuove per consentire un coinvolgimento maggiore delle donne nella vita della Chiesa. Gli ultimi due Motu proprio del Papa, Spiritus Domini (10 gennaio 2021) e Antiquum Ministerium (10 maggio 2021), vanno proprio in questa direzione e attendono adesso dalla CEI e da ciascun Pastore la sapienza di una loro declinazione nella prassi ecclesiale quotidiana.
Cari Confratelli, desidero a questo punto ringraziare il Signore per il cammino compiuto con ciascuno di voi: è stato un percorso che mi ha arricchito umanamente e spiritualmente. Abbiamo vissuto con intensità una dimensione che il Concilio Vaticano II ha evidenziato: la collegialità episcopale. Non è uniformità, ma esperienza di comunione nelle diversità. Con l’unico scopo indicato da san Paolo: «edificare la Chiesa». La nostra fraternità è un dono che il tempo non cancella e che potrà solo crescere con la preghiera.
Tra poco, come prevede lo Statuto, provvederemo alla definizione di una terna di nomi da presentare al Santo Padre per la nomina del nuovo Presidente della CEI. Non si tratta di una operazione amministrativa, ma piuttosto di una azione da compiere secondo lo Spirito. Desidero fare al mio successore i migliori auguri e mi impegno fin da ora a pregare per lui. Grazie.

S. Em. Card. Gualtiero Bassetti

23 Maggio 2022

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