Intervento all'Assemblea di Retinopera

Carissimi amici e amiche,
vi ringrazio calorosamente dell’invito che mi avete fatto. Ho ascoltato con molta attenzione il bell’intervento che mi ha preceduto. All’inizio della relazione sono state addirittura citate alcune mie parole che vorrei adesso riprendere, non certo per vanità, ma perché penso che meritino una riflessione ulteriore: “Fare rete non è solo fare somma. È collegialità e comunione”. Confermo tutto quello che ho detto ma vorrei aggiungere una parola a me molta cara: condivisione. La condivisione è la chiave di volta della carità e della fraternità. Rappresenta quella sorta di “supplemento d’anima” a cui tutti siamo chiamati.
Questa parola mi accompagna da quando ero bambino: in particolare a Marradi, dopo la guerra, quanto la povertà non era una parola evocata nei convegni, ma era un fatto concreto e quotidiano. In quella condizione di povertà diffusa, la condivisione non solo del cibo, ma anche delle sofferenze e delle reti familiari, è stata l’elemento più importante per la nostra comunità. Ma la condivisione è stata importante, non solo per il mio piccolo paese di montagna, ma oserei dire, per l’Italia intera. L’Italia, infatti, dopo l’orrore sanguinario della guerra, è stata ricostruita con tenacia e solidarietà perché gli italiani hanno saputo condividere tutto: dolore, speranza e futuro. Proprio per questo, ancora oggi, saper condividere significa saper stare assieme; vuol dire essere comunità. E quindi, in altre parole, significa saper costituire una rete: proprio come fate voi con la vostra associazione, che rappresenta, a mio avviso, uno stimolo importante per l’Italia a crescere e a svilupparsi seguendo un modello solidale.
 
Retinopera rappresenta, senza dubbio, una realtà ampia, eterogenea, plurale. Tante realtà, ognuna con la sua mission sociale, ognuna impegnata nel servizio alla Chiesa e alla società nei territori, nelle diocesi. Siete espressione, dunque, di un associazionismo cattolico socialmente impegnato, partecipativo e solidale. In questa assemblea avete formulato varie proposte, tra le quali, la costituzione di un tavolo informale, che si incontri sistematicamente sui temi decisivi e trasversali e che ciclicamente determinano il dibattito del nostro Paese: dal confronto e dalla condivisione, infatti, potrebbero nascere prospettive e soluzioni di comune interesse.
A me sembra una buona proposta che va ovviamente messa al vaglio della reale fattibilità e soprattutto della necessità di non costituire strutture autoreferenziali. Alcuni anni fa sulle colonne di “Avvenire” parlai di concetti simili: mi riferii alla possibilità di dar vita a un “forum civico” che potesse essere un luogo di incontro delle varie realtà laicali italiani. Un luogo di discussione vera, franca, ma senza la riproduzione di quelle spiacevoli divisioni che per troppo tempo hanno accompagnato il mondo cattolico.
Da questo punto di vista, mi sento di poter dare due consigli: prima di tutto, ricordare la primazia del laicato maturo e consapevole nell’impegno sociale; in secondo luogo, l’unità della dottrina sociale della Chiesa cattolica: ovvero, come ho già anticipato, la necessità di superare quei vecchi steccati tra i cosiddetti “cattolici della morale” e i “cattolici del sociale”. Il magistero è unico. E il punto di partenza è l’inviolabile dignità della persona umana che va difesa sempre in ogni momento dell’esistenza: quando ci occupiamo di maternità, di scuola, di ambiente, di lavoro e di migranti.
Un altro punto molto importante che è stato sollevato da chi mi ha preceduto è il Cammino sinodale per l’Italia. Tre mesi fa il cammino sinodale è ufficialmente partito e a fare da filo conduttore è il tema: Annunciare il Vangelo in un tempo di rigenerazione”. Un’occasione importantissima per tutta la comunità ecclesiale italiana che trae ispirazione, non casualmente, dal Convegno Ecclesiale di Firenze del 2015. In quell’occasione, in un memorabile discorso, Papa Francesco disse che «la società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media…”. E poi, subito dopo, aggiunse: “Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti”. 
Uno dei punti più importanti di quel discorso era sul rapporto tra la Chiesa e il potere. Si tratta di un elemento da sempre decisivo, non certo per le sorti della gerarchia episcopale, ma per la vita della comunità ecclesiale in ogni suo aspetto. Una Chiesa ricca e potente, presente magari in ogni interstizio decisionale della vita politica, può essere una Chiesa viva solo in apparenza. Può celare, infatti, una morte spirituale non immediatamente ravvisabile nel suo esercizio pubblico. Una Chiesa che invece si sporca col fango delle periferie, come ha spesso evocato il Papa, può essere invece una grande testimonianza di fede e trovare uno slancio missionario in luoghi e persone imprevedibili e inaspettate.
È la “Chiesa che rinasce nelle anime” come auspicava all’inizio del Novecento Romano Guardini e che, a mio avviso, deve essere anche la nostra fonte di ispirazione nel dar vita a questo cammino sinodale. Che rimane sempre, è bene sottolinearlo, un cammino comune e non un congresso di partito o la riunione del Comitato di direzione di una grande azienda. Tutti quanti, laici e consacrati, uomini e donne, poveri e ricchi, intellettuali e ignoranti, camminano insieme in un percorso di discernimento comunitario nel nome di Cristo.
Questo è uno snodo decisivo che, sono sicuro, ha ben presente anche Retinopera. Sono convinto che anche voi sarete una ricchezza per il cammino sinodale, a patto però, come ha detto il Papa a Firenze a tutta la Chiesa italiana, che non vi mettiate a “negoziare” una vostra presenza o un posto in prima fila. Non bisogna “ricavare una fetta di torta comune”, ha detto Francesco, ma bisogna essere capaci, come dicevo all’inizio, di saper condividere e di amare veramente il fratello che ti sta vicino, alimentando concretamente, non il giudizio malevolo verso chi la pensa diversamente da noi, ma quella «capacità di dialogo e di incontro» evocata sempre da Papa Francesco a Firenze. Questa penso che sia la sfida più importante per Retinopera durante il cammino sinodale. E lo sarà per tutte le realtà e le associazioni laicali. Più saprete essere una voce di stimolo per i vescovi e maggiore sarà il vostro contributo.
 
All’inizio del cammino sinodale, si svolgerà un importante iniziativa promossa dalla CEI: il secondo incontro dei vescovi del Mediterraneo nel febbraio 2022 a Firenze dopo quello di Bari nel febbraio 2020. In quell’occasione, per la prima volta si sono riuniti tutti i pastori del bacino mediterraneo ed è stata una sorta di “miracolo” nel segno di Giorgio La Pira. Ha preso forma una “profezia” che il “sindaco santo” di Firenze aveva fatto ben prima dello svolgimento dei lavori del Concilio Vaticano II: una profezia che vedeva il Mediterraneo come un “grande lago di Tiberiade”, ovvero come un luogo di pace e non di guerra, di dialogo e non di scontro. A Bari i vescovi si sono incontrati, hanno parlato, fraternizzato e pregato insieme. Il dialogo interreligioso, la pace, la trasmissione della fede, le migrazioni, sono stati alcuni dei temi discussi a Bari e che troveranno a Firenze una nuova declinazione.
Il tema che farà da conduttore a questo secondo incontro dei Vescovi del Mediterraneo sarà la “cittadinanza”. Ancora una volta, si tratterà di un incontro nel segno di La Pira. Questo “mistico prestato alla politica” riteneva infatti che le città “non sono soltanto un cumulo di pietra ma un luogo dell’anima”, le “città sono vive” amava ripetere La Pira e Firenze rappresentava, nella sua visione, una sorta di “terrazza” sul mondo. Da questa terrazza i vescovi mediterranei, che proverranno da ben 3 continenti, si confronteranno nuovamente in cerca di un filo comune con cui continuare a tessere la trama di un abito, al tempo stesso, spirituale e sociale. Un abito nuovo che vuole unito a partire dalle città. In questo modo, il Mediterraneo rappresenta un angolo visuale attraverso il quale guardare il mondo intero. Se la pace vincerà in questa regione può vincere ovunque.
Penso che anche in questo caso il ruolo di associazioni come Retinopera possa essere preziosissima. Non solo facendo da cassa risonanza dell’incontro dei Vescovi a Firenze ma proponendo e organizzando iniziative sullo stesso tema. Magari nei giorni precedenti e poi nei momenti successivi. È fondamentale dare una linea di concretezza e continuità alla manifestazione. Senza voler cercare di organizzare qualcosa di definitivo e di grandioso. Serve l’umiltà dei piccoli passi e la concretezza delle opere di misericordia.
La Cei e la Caritas, per esempio, dopo Bari hanno dato vita ad un’opera segno: ovvero hanno organizzato insieme a “Rondine – cittadella della pace” a un percorso biennale comune di studio, formazione e dialogo che vede coinvolti 12 ragazzi di cultura e fede differente provenienti da alcuni paesi del bacino del Mediterraneo. Con quest’azione abbiamo seminato 12 granelli di pace sul terreno di un mondo martoriato e lacerato. In futuro vedremo se potremo raccogliere i frutti di questa semina. Ma i modi e i tempi, dobbiamo ricordarcelo, non spettano a noi ma al Signore.
 
Vorrei chiudere questo mio intervento con un’ultima riflessione sulla 49ª Settimana Sociale dei cattolici italiani che si svolgerà a Taranto tra il 21 e il 24 ottobre. Si tratta di un appuntamento storico per la Chiesa italiana e di grande significato per la realtà odierna. So che le organizzazioni di Retinopera hanno partecipato a questo evento realizzando un contributo che ha voluto rimarcare il valore del servizio quotidiano e originale alla Chiesa. Un servizio fondato sui valori cristiani, fuori dai fondamentalismi, faziosità, populismi.
Io auspico che il vostro contributo, insieme a tutto ciò che emergerà dalla Settimana Sociale di Taranto, abbia una reale ricaduta nella vita del nostro Paese e delle comunità ecclesiali. Spero vivamente che tutto questo impegno di riflessione non cada nell’oblio e non rappresenti soltanto un’iniziativa momentanea e passeggera. È assolutamente necessario che le Settimane Sociali trovino almeno un’espressione concreta e fattiva. Da questo punto di vista, ancora una volta può emergere la vostra specificità laicale, il vostro saper stare immersi nel mondo senza distaccarsi da esso.
In primo luogo, è doveroso organizzare un’attività di diffusione e veicolazione di tutto il lavoro svolto a Taranto: dai contributi alle discussioni. È infatti importantissimo “socializzare” i risultati di Taranto. In secondo luogo, è forse auspicabile dar vita ad un’opera concreta. Non penso alla costituzione di nuovi organi, perché per quanto agili siano, rischiano di trasformarsi nell’ennesima struttura burocratica. Occorre, invece, un segno e una testimonianza su Taranto. Un segno, anche piccolo, che rappresenti un frutto concreto di Taranto. Per far questo, è necessario avere fede, creatività e passione.
Cari amici e amiche, e concludo, quello che in definitiva serve oggi è lo spirito di profezia e subito dopo la concretezza delle opere. Non ci sono ricette facili da mettere in pratica, ma occorre saper scrutare i segni dei tempi e agire con la libertà dei figli di Dio. Questo è il tempo dei profeti e dei testimoni più che degli esperti e dei maestri.
Vi esorto con tutto il cuore a seguire l’esempio dei profeti del passato, a partire da La Pira, rimanendo però ben consapevoli della bontà della vostra missione e dell’obiettivo che vi proponete di raggiungere: quel bene comune che sta tanto a cuore alla Chiesa e che merita di essere cercato rimanendo sempre fedeli a Cristo! Che Dio vi benedica.

S. Em. Card. Gualtiero Bassetti

22 Settembre 2021

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