Il matrimonio in cui crediamo

Il matrimonio in cui crediamo

La notizia della trascrizione oggi, in Campidoglio, di matrimoni tra persone dello stesso sesso, avvenuti all’estero, sorprende perché oltre a non essere in linea con il nostro sistema giuridico, suggerisce una equivalenza tra il matrimonio ed altre forme che ad esso vengono impropriamente collegate. Una tale arbitraria presunzione, messa in scena proprio a Roma in questi giorni, non è accettabile.
L’augurio è che il rispetto delle persone individuali sia sempre salvaguardato nelle loro legittime attese e nei loro bisogni, senza mai prevaricare il dato della famiglia. La sua originalità non può essere diluita, se ci sta veramente a cuore il “bene comune” che è la differenza, dei generi e delle generazioni. In una parola, se ci preme la famiglia.
Del resto, l’esperienza del Sinodo, che ha suscitato un crescente interesse dentro e fuori la Chiesa, è stata proprio quella di aver ridato evidenza alla famiglia. La sua bellezza che nasce dall’incontro di un uomo e di una donna e si apre al dono dei figli, in virtù di un legame indissolubile, è ancora tra i desideri più autentici dei giovani in ogni parte del mondo. Non è mancato, peraltro, l’ascolto per le ferite della famiglia: le crisi matrimoniali, le fatiche dei figli, le difficoltà economiche, fino alla violenza che subiscono le donne. E, su tutto, è stato chiaro che la Chiesa è “una casa con la porta sempre aperta nell’accoglienza senza escludere nessuno…”. Per questo occorre farsi “carico delle lacerazioni interiori e sociali delle coppie e delle famiglie” (dal Messaggio conclusivo).
 
Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale Italiana
 
 
Roma, 18 ottobre 2014
 

Ufficio Stampa

18 Ottobre 2014

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