In riferimento ad alcuni articoli, riguardanti la non applicazione dell’ICI ad immobili utilizzati per attività connesse a finalità religiose, apparsi nei giorni scorsi e ancora oggi sulla stampa, in cui la tematica è affrontata con gravi e fuorvianti inesattezze, si precisa che nulla viene “regalato alla Chiesa”, in quanto l’esenzione da tale imposta è già definita per legge fin dal 1992 e il recente decreto legge non fa che confermarla, esplicitando gli ambiti di applicazione. Nulla pertanto viene “sottratto” o “scippato” agli enti locali, i quali mai hanno percepito tale imposta e non vedranno pertanto diminuire per questa causa le loro entrate.
Al fine di favorire una corretta e completa informazione, si allega una nota dell’Ufficio Nazionale della CEI per i problemi giuridici.
Roma, 29 settembre 2005
Conferenza Episcopale Italiana
Nota dell’Ufficio Nazionale per i problemi giuridici
L’art. 6 del decreto legge 17 agosto 2005, n. 163, recita:
“L’esenzione prevista dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, si intende applicabile anche nei casi di immobili utilizzati per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione educazione e cultura di cui all’articolo 16, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1985, n. 222, pur svolte in forma commerciale, se connesse a finalità di religione o di culto”.
Tale decreto deve essere letto alla luce dell’art. 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, istitutivo dell’imposta comunale sugli immobili (= ICI), che afferma:
“Sono esenti dall’imposta: gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'art. 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'art. 16, lettera a), della L. 20 maggio 1985, n. 222”.
Nulla di nuovo, quindi, perché l’esenzione è prevista già nella legge che istituisce l’ICI. Essa prevede, infatti, l’esenzione dall’imposta nel caso di immobili utilizzati in maniera esclusiva da enti non commerciali (fra cui rientrano per definizione gli enti ecclesiastici) per le attività espressamente elencate. In questi casi l’esenzione si applica anche quando l’attività è considerata commerciale ai fini fiscali.
Di nuovo c’è solo il fatto che negli ultimi mesi la Corte di Cassazione ha dato un’interpretazione restrittiva della norma, secondo la quale gli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica, pur essendo enti non commerciali, godrebbero dell’esenzione per i soli immobili utilizzati per le attività di cui all’art. 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, cioè per le attività di religione o di culto (“quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana”).
La norma all’esame del Parlamento si limita a ribadire che anche le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura svolte dagli enti ecclesiastici, cioè quelle elencate all’art. 16, lettera b), della legge n. 222/1985, sono esenti dall’ICI.
Si tratta, dunque, di un’interpretazione autentica, che non innova la legge del 1992 e che perciò non comporta gravami sulla finanza locale.
Roma, 29 settembre 2005