S. Messa in occasione della festività di san Benedetto per invocare dal Patrono d'Europa la rinascita dell’Italia e del Continente

Basilica di santa Cecilia in Trastevere a Roma

Carissimi fratelli e sorelle, con animo grato al Signore, celebro oggi l’Eucaristia, in questa insigne basilica romana, per ricordare una figura centrale della storia cristiana: Benedetto da Norcia, padre del monachesimo occidentale e patrono d’Europa.
Saluto con viva cordialità il fratello vescovo S. E. Mons. Guerino Di Tora, ausiliare di Roma; il carissimo Mons. Marco Frisina, rettore di questa basilica e straordinario compositore e direttore di musica. Saluto con tanta cordialità e riconoscenza le Monache benedettine, che festeggiano san Benedetto e custodiscono gelosamente questo sacro luogo dedicato alla martire Cecilia e carico di tante memorie storiche. Saluto di cuore i sacerdoti concelebranti e i fedeli laici, impegnati nell’associazionismo cattolico, provenienti da varie parti d’Italia.
Carissimi, il libro dei Proverbi ci offre, oggi, un grande invito a cercare la conoscenza di Dio. Perché è dalla bocca del Signore che escono “scienza e prudenza”. Solo in questo modo si può comprendere veramente “l’equità e la giustizia, la rettitudine e tutte le vie del bene”. Queste parole sono di straordinaria attualità e ci interrogano profondamente. Mai come oggi, infatti, in questo drammatico e complesso cambiamento d’epoca, siamo tutti esortati a discernere i “segni dei tempi”. Oggi infatti è, senza dubbio, il tempo dei profeti. È tempo di coloro che sanno mettersi in ascolto, ogni giorno, della parola di Dio e sono in grado di leggere in profondità il mondo che ci circonda.
Per rispondere alle sfide imposte dalla pandemia nel mondo contemporaneo non abbiamo bisogno soltanto di grandi esperti o di tecnici, ma abbiamo bisogno soprattutto di uomini e donne che si fanno “ambasciatori di Cristo”. Uomini e donne che, come le sentinelle per la casa d’Israele, rispondono a una missione divina, esprimono con passione e generosità la loro vocazione e si mettono a disposizione della comunità.
Proprio oggi celebriamo san Benedetto: senza dubbio un profeta dei suoi tempi. Paolo VI quando lo proclama patrono dell’Europa lo definisce come “messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in occidente”. Pace, unità e cristianesimo: ovvero le basi della nostra civiltà. La fitta rete di monasteri benedettini che si sviluppa in tutto il continente europeo costituisce, ancora oggi, le fondamenta spirituali, culturali dell’Europa. Di un’Europa che “prega e lavora”: cioè che contempla la parola di Dio e si prende cura di tutti gli esseri umani, a partire dai più deboli; che testimonia l’amore di Cristo e, al tempo stesso, si fa costruttrice del mondo con le opere dell’ingegno.
Al centro dell’opera di Benedetto si pone, senza dubbio, la ricerca di Dio. È quello che viene definito il “cristocentrismo della regola”. “Niente anteporre all’amore di Cristo” (RB.4,21), si legge nella Regola. E ancora: “Nulla, assolutamente nulla, antepongano all’amore di Cristo” (RB.72,2). Parole ancora oggi rivoluzionarie e, in particolar modo, valide per tutti i cristiani. Essere cristiani nel mondo contemporaneo, infatti, significa essenzialmente prendere il vissuto di Cristo e farlo nostro. E quale è il vissuto di Cristo? Il vissuto di Cristo sono le Beatitudini. Certo le Beatitudini sono per noi anche un insegnamento morale, ma esprimono il cuore pulsante del Vangelo. Le Beatitudini sono la lieta novella, sono Gesù Cristo e rappresentano, per tutti noi una scuola di santità.
Le Beatitudini sono infatti il termine di confronto e di valutazione dei nostri comportamenti quotidiani e delle nostre scelte di vita. Le Beatitudini sono la nostra regola di vita, sono un dono della grazia, ma sono anche frutto di preghiera costante e di totale abbandono all’azione dello Spirito. Possiamo leggere per tutta la vita le Beatitudini, ma non si improvvisano dentro di noi. Non si traduce Cristo dentro di noi se non nella preghiera e in un totale abbandono all’azione dello Spirito. E infatti Don Primo Mazzolari, per rimarcare questo abbandono all’azione dello Spirito, diceva che le Beatitudini “non si possono predicare” ma si possono soltanto leggere. Perché è solo Cristo che parla “dal di dentro di ogni Beatitudine: lui povero, mite, pacifico, misericordioso, lui il percosso, il morente”. Non si possono predicare, diceva Mazzolari, ma se ne possono leggere con grande attenzione le parole: perché sono parole “che hanno la virtù di far piangere” e da cui può scaturire “gioia o vergogna”. E ancora oggi, quando noi leggiamo queste parole, sentiamo esplodere dentro di noi il nostro cuore: un’esplosione di gioia e vergogna. Vergogna per i nostri peccati, le nostre miserie, i nostri tradimenti; gioia per l’amore sconfinato di Cristo nella vita di ognuno di noi.
Papa Francesco ha addirittura consigliato di imparare a memoria le parole delle Beatitudini, perché quelle parole rappresentano “la carta d’identità del cristiano”, una vera e propria “mappa di vita” da cui non si può prescindere. Una carta d’identità da tenere sempre con noi. In ogni ambito dell’agire umano, nella famiglia e nella scuola, nel lavoro e nel tempo libero, ogni cristiano è chiamato a incarnare le Beatitudini con atti concreti e non solo a parole. Perfino nella vita politica e nell’esercizio del potere, il cristiano è chiamato a rendere testimonianza a questo passo del Vangelo.
Una grande figura del passato a me molta cara, come Giorgio La Pira, ha testimoniato nella sua opera quella che è stata definita la spiritualità delle Beatitudini. O meglio, come è stato scritto, “La Pira è riuscito a vivere la politica come la Beatitudine di colui che ha fame e sete di giustizia”. E questa fame e sete di giustizia è oggi più che mai necessaria. Ed è il requisito essenziale per tutti coloro che si accingono ad operare nella politica. Dopo questo terremoto mondiale provocato dalla pandemia ci troviamo di fronte a un bivio epocale: o noi ricostruiamo il mondo con questa fame di giustizia oppure assisteremo al declino della nostra civiltà come spettatori irrilevanti. Come uomini e donne, cioè, che non hanno più nulla da dire e da dare alla società contemporanea.
E invece abbiamo, come cristiani, molto da annunciare e da fare per il nostro tempo. Dobbiamo annunciare la “verità sull’uomo”, come amava dire Giovanni Paolo II, e dobbiamo impegnarci per l’unità della famiglia umana e l’unità della Chiesa. Di fronte al rischio di una crisi epocale dobbiamo comportarci come san Benedetto: pregare e lavorare per la rinascita del nostro Paese, del nostro continente e della nostra civiltà.

S. Em. Card. Gualtiero Bassetti

11 Luglio 2020

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