4 dicembre
II domenica di Avvento   versione testuale

Letture
Isaia 11,1-10 Giudicherà con giustizia i poveri.
Salmo 71 Vieni, Signore, re di giustizia e di pace.
Romani 15,4-9 Gesù Cristo salva tutti gli uomini.
Canto al Vangelo (Lc 3,4.6) Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Matteo 3,1-12 Convertitevi: il regno dei cieli è vicino!
 
In breve
- La profezia abita l’urgenza, le frontiere dei tempi stretti
- Perché è urgente denunciare la corruzione
- (non per eliminare il nemico)
- (non per prendere il posto del nemico)
- per il pericolo della finzione e dell’autoillusione
- una denuncia sofferta (il profeta paga di persona)
- una denuncia feconda --> per offrire possibilità di speranza
- Perché si annuncia l’agire di Dio
- l’opera di Dio resta indisponibile all’uomo
- quando Dio comincia, è urgente rispondere
- mettersi subito dalla parte dei processi di pace avviati da Dio
- Siamo davvero pronti a rispondere all’opera di Dio?
 

In attesa di risposta


L’opera di Dio
Il germoglio che spunta dal tronco di Iesse (un tronco vecchio? tagliato? prossimo a marcire?) è frutto di un’azione specifica di Dio. Azione inattesa, vitalità che sorprende: il profeta lo contempla, stupefatto, da lontano.
Si annuncia qualcosa che solo Dio può compiere: donare il suo Spirito al consacrato, conferirgli tutta la potenza della sua parola per ristabilire la giustizia e la pace.

Un tribunale onesto
Il primo segno di ciò che Dio sta compiendo è una rinnovata capacità di discernimento: il vocabolario giuridico (empi, poveri, giudicare, prendere decisioni giuste) si riferisce propriamente alla realtà dei tribunali, che le fonti antiche riportano sempre come centri di corruzione, nervi scoperti di una società largamente devastata dalla corruzione in misure che oggi facciamo fatica ad immaginare (sebbene anche ai nostri giorni la malversazione non sia assente). A un certo punto del brano però la metafora giuridica lascia il passo a una nuova, sorprendente descrizione. Il Consacrato di cui si parla non è presentato solo come un vendicatore e un castigatore delle malvagità; la sua azione è ben più profonda.

Oltre la vendetta
Si va oltre la vendetta e la punizione: ciò che Dio sta per compiere è una vera e propria pacificazione, adombrata nelle immagini poetiche degli animali incompatibili che pascolano amabilmente insieme. L’elencazione si fa insistita, e al termine ricorrono immagini di fanciulli, lattanti, bimbi appena svezzati, che da un lato aiutano a trasferire dalla sfera animale alla sfera propriamente umana la visione metaforica, dall’altro alludono al “figlio” di cui si parla al capitolo 7 di Isaia (brano che ascolteremo nella quarta domenica di Avvento: Is 7,10-14). Anche qui dunque il senso della metafora dei fanciulli va ricercato nell’annuncio di una nuova generazione, di un rinnovamento radicale, di una trasformazione possibile solamente a Dio. D’altra parte, l’immagine della bestia feroce ammansita indica la fiducia che persino il nemico più indomabile può essere trasformato in alleato.

L’avvicinamento del Regno
Nel brano evangelico la predicazione di Giovanni indica che il rinnovamento profondo annunciato dai profeti ha subìto la decisiva accelerazione. Dalla percezione dell’urgenza derivano gli aspetti peculiari della sua predicazione: innanzitutto l’abito trascurato e povero, segno che non è più possibile perdersi in una sterile attenzione alla propria immagine; in secondo luogo il linguaggio crudo ed espressivo: “razza di vipere”, “ira imminente”, segno che non è più possibile perdersi nei meandri di un formalismo corretto, che maschera la realtà. Infine, l’arrivo ormai imminente del Regno di Dio determina la svalutazione e l’indifferenza verso i meriti e le categorie puramente mondani, sia pure ammantati di pietà e devozione. Dure espressioni sono riservate ai farisei e agli altri membri dell’élite religiosa del popolo.

La denuncia dell’autoillusione
Necessariamente l’annuncio del Regno provoca una denuncia del peccato, dell’indifferenza, delle insufficienze umane. Il Battesimo è il segno di una presa di coscienza e dell’indirizzarsi verso una novità di vita. Sorprende però il fatto che le parole più dure ed esplicite sono riservate per i capi del popolo, più che per i peccatori. La stessa situazione si ritrova nei rapporti di Gesù con i Farisei; è verosimile che nella redazione finale del vangelo la denuncia dell’autoillusione, più che una polemica nei confronti del giudaismo, sia in realtà una presa di posizione contro chi pensava di potersi ammantare del nome di credente in Gesù senza una conversione profonda. Forse, tra i moderni farisei, ci siamo anche noi, lettori credenti e praticanti; e faremmo bene a guardarci da frettolosi processi di identificazione, troppo comodi e lusinghieri.