Coloro che abbiamo servito ci accoglieranno in cielo

XXV Domenica del Tempo Ordinario, a cura di Ermes Ronchi

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L'amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”» (...)

Un peccatore che fa lezione ai discepoli, Gesù che mette sulla cattedra un disonesto. E mentre lo fa, lascia affiorare uno dei suoi rari momenti di scoramento: i figli di questo mondo sono più scaltri di voi, figli della luce. Imparate, fosse anche da un peccatore.
L'amministratore disonesto fa una scelta ben chiara: farsi amici i debitori del padrone, aiutarli sperando di essere aiutato da loro.
Ed è così che il malfattore diventa benefattore: regala pane e olio, cioè vita. Ha l'abilità di cambiare il senso del denaro, di rovesciarne il significato: non più mezzo di sfruttamento, ma strumento di comunione. Un mezzo per farci degli amici, anziché diventare noi amici del denaro.
E il padrone lo loda. Per la sua intelligenza, certo, ma mi pare poca cosa. Chissà, forse pensa a chi riceverà cinquanta inattesi barili d'olio, venti insperate misure di grano, alla gioia che nascerà, alla vita che tornerà ad aprire le ali in quelle case.
E qui il Vangelo regala una perla: fatevi degli amici con la disonesta ricchezza perché, quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.
Fatevi degli amici. Gesù raccomanda, anzi comanda l'amicizia, la eleva a programma di vita, vuole che i suoi siano dei cultori dell'amicizia, il comandamento più gioioso e più umano.
Fatevi amici con la disonesta ricchezza. Perché disonesta? Giovanni Crisostomo scrive: potreste voi dimostrare che la ricchezza è giusta? No, perché la sua origine è quasi sempre avvelenata da qualche frode. Dio all'inizio non ha fatto uno ricco e uno povero, ma ha dato a tutti la stessa terra.
E aggiunge: amici che vi accolgano nelle dimore eterne.
Sulla soglia dell'eternità Gesù mette i tuoi amici, ed è alle loro mani che ha affidato le chiavi del Regno, alle mani di coloro che tu hai aiutato a vivere un po' meglio, con grano e olio e un briciolo di cuore.
La Porta Santa del tuo cielo sono i tuoi poveri. Nelle braccia di coloro ai quali hai fatto del bene ci sono le braccia stesse di Dio.
Questa piccola parabola, esclusiva del racconto di Luca, cerca di invertire il paradigma economico su cui si basa il nostro mondo, dove “ciò che conta, ciò che da sicurezza” (etimologia del termine aramaico “mammona”) è il denaro.
Per Gesù, amico della vita, invece è la cura delle creature la sola misura dell'eternità.
Nessuno può servire due padroni. Non potete servire Dio e la ricchezza. Il culto della ricchezza, dare il cuore al denaro, esserne servi anziché servirsene, produce la malattia del vivere, la disidratazione del cuore, il tradimento del futuro: ami il tuo denaro, lo servi, e allora non c'è più nessun povero che ti apra le porte del cielo, che apra un mondo nuovo.