“Ruolo del laicato nella Chiesa di oggi”

L’intervento al Congresso Nazionale AMCI

Porgo il mio saluto all’Assistente Ecclesiastico Nazionale Card. Edoardo Menichelli, al Presidente Professor Filippo Maria Boscia, a ciascuno dei soci della Associazione dei Medici Cattolici, agli illustri relatori. Il mio intervento sul “Ruolo del laicato nella Chiesa di oggi” ruota attorno a tre “parole-chiave” (Pandemia, Chinarsi, Comunione) che possono aiutarci a comprendere la nostra epoca; ciascuna di essa porta con sé delle domande, al tempo stesso personali e comunitarie.
Pandemia
Per capire appieno cosa sia pandemia occorre rifarsi all’insegnamento del Concilio Vaticano II, quando insegna che tutti i membri della Chiesa, quindi non solo Vescovi e sacerdoti, ma tutti i laici ovunque presenti, devono lasciarsi interrogare dai “segni dei tempi” e porsi nella giusta prospettiva del “servizio all’uomo”. Il servizio all’uomo si esercita leggendo i segni dei tempi. Non oso parlare di profezia in senso stretto, ma di voce profetica della Chiesa, sì.
È indubbio che stiamo vivendo non solo un periodo di “profondi e rapidi mutamenti” ma, come più volte ha detto Francesco, un grande mutamento d’epoca. Allora dobbiamo porci una domanda antropologica fondamentale: “chi sono io, oggi”. “Chi sono” nelle mie relazioni affettive, professionali, associative, di fede. Se questa domanda non si pone in modo serio, tutto il resto è costruito sulla sabbia. Quali relazioni ho costruito, quali ho mantenuto, quali ho smantellato in tempo di pandemia? Ho indossato – oltre che la mascherina d’obbligo – una maschera, o sono in grado di pormi di fronte ad un segno dei tempi epocale?
La “Pandemia” suscita, dunque, molti interrogativi e che ci invita a riflettere sulla morte e su tutte quelle domande che investono il morire: ovvero l’elaborazione del lutto oppure i confini tra vita, respiro, soffio vitale e morte. Oggi c’è un inquieto dibattuto pubblico sull’eutanasia. Come ho avuto recentemente modo di osservare con i confratelli Vescovi del Consiglio Permanente della CEI «suscita una grave inquietudine la prospettiva di un referendum per depenalizzare l’omicidio del consenziente». E soprattutto oggi, davanti ai medici, «è necessario ribadire che non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire, ma il prevalere di una concezione antropologica e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali. C’è una contraddizione stridente tra la mobilitazione solidale, che ha visto un Paese intero attivarsi contro un virus portatore di morte, e un’iniziativa che, a prescindere dalle intenzioni dei singoli firmatari della richiesta referendaria, propone una soluzione che rappresenta una sconfitta dell’umano. Chi soffre va accompagnato e aiutato a ritrovare ragioni di vita; occorre chiedere l’applicazione della legge sulle cure palliative e la terapia del dolore[1]».
È quanto ci ha invitato ad approfondire Papa Francesco: «E se sappiamo che della malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte. In questa linea si muove la medicina palliativa. Essa riveste una grande importanza anche sul piano culturale, impegnandosi a combattere tutto ciò che rende il morire più angoscioso e sofferto, ossia il dolore e la solitudine»[2]. Nei giorni scorsi il Papa è tornato nuovamente sulla questione, illustrando gli esiti di una “cultura dello scarto” che colpisce, allo stesso modo, i bambini non nati e gli anziani[3].
Non dobbiamo quindi cedere di fronte a questa cultura dello scarto ma opporre invece una cultura della vita. Che è prima di tutta una cultura dell’amore, della gioia e del prendersi cura degli altri.
E se è vero che la pandemia è stato un segno dei tempi che ha portato con sé un insieme di domande sull’uomo e sull’umano, la forza dell’Associazione dei Medici Cattolici risiede nel poter offrire risposte a queste domande. Risposte che portano con sé la duplice valenza di testimonianza personale e di alta qualità professionale. C’è infatti una domanda semplice che ciascun paziente porta con sé: «Aiutami, con la tua presenza di medico, a vivere bene». E l’altra domanda: “Non lasciarmi solo” [4]. Per rispondere a questa domanda non serve solo la competenza ma anche la capacità di amare il prossimo.
Chinarsi
Una seconda parola che vorrei far risuonare con voi è “chinarsi”. Una parola che può essere declinata in due modi: la prima, è quella sanitaria, ovvero andare verso il malato; la seconda la si può riassumere nel fatto che ciascuno di noi ha bisogno di un “buon samaritano” che si chini su di lui.
Chinarsi è l’opposto di indifferenza, l’opposto della contemporanea “cultura dello scarto”, e nella “clinica medica” ha una sua specifica configurazione. Alcune risposte di alto valore scientifico di fronte alla pandemia son venute dal clinico, da colui che si è chinato sul paziente, ne ha studiato e capito i sintomi, e ha posto in primo piano la persona che aveva di fronte. Ha cercato di capire. Il “clinico” è il cuore dell’essere medico.
Chinarsi, inoltre, è agire rispettando il valore intrinseco e intangibile di chi è posto di fronte a me: è una modalità d’agire che implica il riconoscimento della presenza dell’altro e, al tempo stesso, di riconoscenza per le capacità professionali che possediamo.
Chinarsi significa anche uscire da un paternalismo freddo, per giungere ad una reale capacità di ascolto, di comprensione, di esercizio della professione medica che è consapevole, come lo è ciascuno di voi, che curare ha la duplice valenza del “guarire ove possibile” e del “prendersi cura sempre e in ogni caso”. È cioè una risposta “fisica” alla richiesta “non lasciarmi solo”. Nel fare questo c’è l’esemplarità del medico cristiano, perché ha un di-più-spirituale che risponde alla domanda fondamentale su “chi sia mio fratello”. Quest’ultima domanda mi risulta essere obbligatoria per noi.
Ovviamente, non si può chinare la testa di fronte al male comandato da una legge ingiusta, e oggi sembra quanto mai necessario richiamare questi principii: occorre sempre difendere l’irrinunciabile valore e l’intrinseca dignità della vita umana dal suo inizio al suo naturale compimento.
San Giovanni Paolo II ci ha autorevolmente insegnato che «Le leggi che autorizzano e favoriscono l’aborto e l’eutanasia si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune»[5]. Di conseguenza, l’obiezione di coscienza ed il diritto alla libertà di coscienza da parte dei medici e dei professionisti sanitari è un diritto fondamentale che necessita di una testimonianza coerente tra i valori affermati e quelli vissuti in concreto nella professione[6].
So bene quanto sia difficile vivere da cristiano la professione di medico. E quanto è stato difficile e rischioso fare il medico durante la pandemia. Il burn-out, lo stress pandemico e post-pandemico, le “fratture professionali” derivanti dai continui aggiustamenti delle indicazioni procedurali e normative circa l’evolversi della pandemia, le incomprensioni e le tensioni che nascono dall’essere in ritardo sui tempi di marcia previsti. Penso, per esempio, all’affannata rincorsa agli screening rimasti in sospeso, all’allungarsi delle liste di attesa, alle operazioni chirurgiche rimandate sine die, ai pazienti allontanati fuori dalla porta perché scattano le procedure di prevenzione e isolamento.
Tutto ciò ha bisogno di qualcuno che “si china” su ciascuno di noi a rinvigorire la nostra fede. Una fede non nell’eccellenza del progresso fine a sé stesso, né una fede esclusivamente basata su fredde regole procedurali, ma la fede, vera, in Cristo, che per primo si è chinato sull’umanità con una parola di salvezza integrale. I medici hanno quindi un bisogno fortissimo del cristianesimo, ma allo stesso modo “Cristo ha bisogno delle nostre mani”, ha bisogno del nostro chinarsi. Possiamo osservare come il “medico” sia un “laico specializzato” nel chinarsi.
Comunione
La terza parola che affido al congresso dei medici cattolici è “comunione”. Siamo in un tempo in cui Papa Francesco ha chiesto alla Chiesa di essere “sinodale”, di camminare insieme. Ho già avuto modo di esprimere in altre occasioni la ricca e preziosa esperienza della Chiesa italiana che è esemplare per ricchezza di carismi, forza del volontariato, molteplicità di esperienze e di vitalità missionaria.
Sinodo è non solo camminare insieme, è anche capire con quale passo ci si muove, ci si debba muovere, per potersi incontrare e quindi per condividere tappe, per condividere obiettivi comuni, per “avviare dei processi”, come ci sollecita Papa Francesco, che sono illuminati dalla luce del Vangelo e ci permettono di rispondere a quelle domande che l’umanità di oggi pone alla Chiesa che è in Italia. Significa vivere insieme, come stile, forma e coralità di ogni soggetto ecclesiale.
Oggi fare associazionismo è comunione che si costruisce nel contatto interpersonale, vero, motivante, che passa sempre più dalla testimonianza nel proprio ambiente di lavoro piuttosto che dall’insegnamento magisteriale. Non lo esclude, lo ricerca e lo interroga, ma in taluni casi non ne ha ricevuto l’imprintig iniziale. Il dono di grazia e di fede resta sempre aperto al dialogo con la nostra libertà umana. Questo è vero ancor più laddove molti di voi vivono in un contesto multi-etnico e dove si sviluppano relazioni inter-religiose.
Come medici non vivete da soli, isolati in un ambiente asettico, ma siete chiamati a vivere la fede in comunione con la Chiesa che prega per i suoi malati, e che ringrazia anche il Padre celeste per chi di loro si prende cura. Per questo motivo, voglio ribadire un concetto che è anche un grande incoraggiamento: nessun medico è mai del tutto solo!
Vangelo e medicina, lo sottolineo con vigore, vanno di pari passo. E oggi è veramente doveroso, non è una frase di circostanza, un caloroso ringraziamento ad ognuno di voi, e a chi vi è accanto; la vostra quotidianità nascosta è essa stessa una potente terapia del corpo e dell’anima di chi è affidato alla vostra cura.
Metodologia e dimensione comunionale
Voglio concludere questo intervento con un’ultima riflessione. In questo cambiamento d’epoca appare evidente come alla vostra Associazione sia richiesto un attento discernimento che ha a che fare con due aspetti:

  1. In primo luogo, la “metodologia di lavoro” che l’Associazione intende darsi: siamo ormai entrati in un’epoca caratterizzata dalla globalizzazione e da una tecnologia che ha modificato ormai in forma stabile, non solo la comunicazione delle nuove generazioni, ma anche i nuovi processi medico-sanitari, socio-sanitari, sociali;
  2. In secondo luogo, la “dimensione comunionale”, che andrà costantemente declinata: nei vostri rapporti interpersonali, nel vostro personale cammino di fede, nella progettualità professionale, nella moltitudine dei rapporti che si vengono ad instaurare, nel vostro territorio e nelle strutture nelle quali operate, anche perché non possiamo non osservare come l’aziendalizzazione sanitaria stia spingendo per ridefinire in modo significativo la presenza sanitaria nel territorio.

Auguro buon lavoro e la migliore riuscita del vostro Congresso: non siete solo “medici con un di più spirituale”, siete anche “laici con un di più clinico”. Voi siete realmente l’antidoto alla cultura dello scarto e dell’indifferenza!

 


[1] Bassetti G., Introduzione ai lavori della sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente, Roma, 27 settembre 2021.
[2] Francesco, Messaggio ai partecipanti al meeting regionale europeo della “World Medical Association” sulle questioni del “fine-vita” (16.11.2017).
[3] Francesco, Udienza ai partecipanti all’Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, (27.9.2021).
[4] «dinnanzi all’ineluttabilità della malattia, infatti, soprattutto se cronica e degenerativa, se la fede manca, la paura della sofferenza e della morte, e lo sconforto che ne deriva, costituiscono oggigiorno le cause principali del tentativo di controllare e gestire il sopraggiungere della morte, anche anticipandola, con la domanda di eutanasia o di suicidio assistito», Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Samaritanus Bonus sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita (22.9.2020), c. I.
[5] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium Vitae (25.3.1995), n. 72.
[6] Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium Vitae (25.3.1995), n. 73.

S. Em. Card. Gualtiero Bassetti

08 Ottobre 2021

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