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 Ufficio Catechistico Nazionale - Settori UCN - Catechesi delle persone disabili - Corsi, Seminari e Giornate di studio - Anno 2001 - Seminario formativo nazionale Catechesi dei Disabili 
Anno 2001 - Seminario formativo nazionale Catechesi dei Disabili   versione testuale

Relazione
Dott. Corrado Dastoli
Psichiatra presso l’Istituto S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Roma.
Membro del Gruppo nazionale Disabili dell'UCN
 
«Disabilità e handicap»
 
Mi sembra che le parole dette da don Walter e cioè «trovare il passo, fare un pezzo di strada insieme» possono un po’ riassumere il senso di queste parole che vado a dire. Mi pare che sia utile condividere brevemente quello che io vedo e che già è il nostro modo di vedere questi aspetti, queste tematiche. Condividere vuol dire anche utilizzare in modo condiviso dei concetti. I concetti hanno dietro un cammino, un’elaborazione. Allora, anche la scelta dei termini e delle parole che hanno trovato nella redazione del programma la loro collocazione sono il frutto di un cammino. Noi ci interessiamo di comprendere meglio qualche cosa su quella che chiamiamo la disabilità. Ora, in particolare, il mio mestiere mi fa interessare delle disabilità mentali. Faccio parte del Gruppo di lavoro nazionale presso l’Ufficio Catechistico, nel portare l’approfondimento della tematica della disabilità mentale. Noi usiamo la parola disabilità come una scelta rispetto ad altri termini che sono stati ormai – diciamo così – definiti formalmente in modo condiviso anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che distingue l’infermità, la disabilità e l’handicap.
 
E’ infermità una mancanza, una perdita di strutture o funzioni corporee; quindi siamo nel campo di tematiche di ordine medico, laddove rispetto a una salute fisica si riscontra una qualche insufficienza e anormalità. Ora, quando questa infermità produce una difficoltà o una inadeguatezza nella capacità di svolgere una certa attività, noi parliamo di una disabilità. La disabilità diventa handicap quando una persona che ha una difficoltà a svolgere una attività resta indietro rispetto allo stare insieme, rispetto alla vita comune, alla vita sociale; resta indietro riguardo all’autonomia, riguardo alla possibilità di stare con gli altri, di avere un ruolo, di essere protagonista insieme con gli altri. Allora, questo ambito e questo stare indietro è un qualcosa di secondario, è il portato di una organizzazione sociale che esclude. Allora, direi che noi riconosciamo che il termine portatore di handicap è in qualche modo un torto, addirittura un paradosso, perché tutt’al più chi ha una disabilità è un trovatore di handicap, cioè uno che trova una serie di svantaggi e questi svantaggi gli sono in qualche modo caricati addosso. Vorrei aggiungere una cosa: noi sappiamo che spesso scatta una dinamica, per cui quando l’organizzazione sociale prevede che qualcuno, in qualche modo è atteso di essere inadeguato, questa profezia poi si auto-avvera. Quando, in qualche modo nella scuola si scrive di qualcuno: «Questo non andrà bene», per una forma di pregiudizio questa attesa, questa aspettativa negativa si auto-avvera.