25 marzo
Venerdì Santo   versione testuale

In passione Domini

Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande,
che è passato
attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio,
manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo
un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze:
egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere
misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
[Cristo, infatti,] nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche,
con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e,
per il suo
pieno abbandono a lui, venne esaudito.
Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto,
divenne
causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.
(Lettera agli Ebrei 4, 14-16; 5, 7-9)


Il Cristo muore, accompagnato dal pianto di poche donne, tra cui sua madre, nel silenzio indifferente o incuriosito dei molti che guardano la scena, un gesto di umanità da parte di un soldato straniero, il centurione che gli disseta le labbra.
Una scena con tratti simili a quanto affrontano i “poveri cristi” che si affollano alle nostre frontiere. Viene poi sepolto con tutto il rituale previsto dalla legge ebraica. Non esiste civiltà che non curi le sepolture, perché da sempre l’uomo sente che non tutto si conclude in quel avvenimento.
Il Cristo lo svela come una porta dolorosa che si apre alla risurrezione. La realtà ci presenta invece la nostra incapacità di sostenere la sofferenza, il desiderio di molti che si augurano una fine rapida e improvvisa, ormai sono rarissimi quelli che chiamano il sacerdote per ricevere l’estrema unzione in stato di lucidità. Forse non rispettiamo più la dignità
della morte perché non rispettiamo più la dignità della vita. Come la vita dei “poveri cristi”?

Signore, insegnaci a consegnare con fiducia i frutti della nostra vita nelle tue mani. Che l’angoscia non sia l’ultimo sentimento, ma solo un passaggio finale di quell’arte di vivere e di morire che dobbiamo esercitare per tutta la vita ed essere tuoi fratelli nella Risurrezione.