3 maggio
V domenica di Pasqua   versione testuale

Colletta
O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna. Per il nostro Signore...
 
Liturgia della Parola
Prima lettura At 9,26-31: Barnaba raccontò agli apostoli come durante il viaggio Paolo aveva visto il Signore.
Salmo 21: A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea.
Seconda lettura 1Gv 3,18-24: Questo è il suo comandamento: che crediamo e ci amiamo.
Canto al Vangelo Cf Gv 15,4a.5b: Rimanete in me e io in voi, dice il Signore; chi rimane in me porta molto frutto.
Vangelo Gv 15,1-8: Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto.

Spunti brevi
Il Risorto costituisce i discepoli perché “portino frutto”. La comunità cristiana mostra la fecondità ricevuta in molti modi: sia con la crescita numerica, sia con una trasformazione qualitativa, sia ponendo segni che manifestano al mondo la misericordia del Padre. Alcuni aspetti della fruttuosità della Chiesa sono misurabili, verificabili; altri restano nascosti, anche se reali; il fondamento però è l’unione a Cristo risorto: senza di lui “non possiamo far nulla” (Gv 15,5). Serve un discernimento attento, per verificare che siamo davvero in Cristo, che stiamo andando nella sua direzione, che non ci siamo staccati da lui: allora potremo sperimentare la gioia di vivere nella carità reciproca.

La manifestazione esterna: comunità che porta frutto
La Chiesa cresce, si espande, porta frutto. Gesù ci rassicura: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto”: possiamo ascoltare le sue parole come una promessa, una garanzia. Stando in lui, il frutto arriverà; e quando ciò avverrà, sarà inevitabile che diventi visibile. Uno dei segnali più indicativi, da non sopravvalutare né da ignorare, è la crescita numerica. La Chiesa cresce generando nuovi figli alla fede; cresce accogliendo i peccatori che hanno riscoperto la misericordia di Dio; cresce riallacciando il dialogo con chi può aver avuto una crisi, che lo ha portato ad allontanarsi. Il fattore numerico non va visto ovviamente in modo esclusivo: non è una contabilità finanziaria, in cui vale la bruta consistenza delle cifre. “Un solo peccatore che si pente” è importante agli occhi degli angeli di Dio, come leggiamo nel capitolo 15 del vangelo di Luca; allo stesso modo vediamo che, nella parabola della vite, ogni tralcio è personalmente seguito dal Padre, che lo pota “perché porti più frutto”. Un solo povero accolto e assistito, una sola famiglia che accoglie la grazia nelle relazioni quotidiane, due o tre persone che si riuniscono per pregare il Padre nel nome di Cristo… hanno un valore enorme. E possono diventare centri di attrazione.
 
Riconoscere i frutti
A volte solo una visuale troppo pessimistica, condizionata da attese eccessive, tarata sulla misura del successo mediatico, impedisce di riconoscere la fecondità della Chiesa. Nella prima lettura vediamo che la conversione di Paolo non viene inizialmente accettata come un segno dell’azione di Dio. È merito di Barnaba attuare il riconoscimento. Forse abbiamo bisogno di molte più persone capaci di fare lo stesso: aiutare i fratelli ad aprire gli occhi sull’opera di Dio, che altrimenti verrebbe ignorata o, peggio ancora, calpestata.
 
La ragione profonda: il legame con Cristo
Grandi sono le attese nei confronti della Chiesa e dei credenti: sia da parte di chi è inserito in essa, anche se restando per il momento ai margini, sia da parte di chi sta su posizioni diverse. La risonanza dell’elezione di papa Francesco e dei suoi gesti, anche nell’arena mediatica, è la prova che esiste ancora un’attenzione per la Chiesa, e una sua vitalità, che non è necessariamente legata all’evidenza. Il vangelo di Giovanni ci mette però in guardia da un eccessivo sbilanciamento sul risultato esteriore, sul credito esterno, sulla visibilità  fondata su criteri puramente umani: solo se rimaniamo in Cristo portiamo frutto.
 
Il nodo da sciogliere: la fatica del discernimento
Accanto all’invito gioioso a contemplare i frutti dello Spirito, i frutti della presenza del Risorto nella Chiesa, accogliamo anche il richiamo a corrispondere pienamente all’azione di Dio. Esiste per le comunità cristiane, a diversi livelli, la tentazione di chiudersi nelle proprie sicurezze, di giudicare severamente senza lo sforzo di percorrere un cammino, di ritenersi soddisfatti dei risultati raggiunti. La tentazione è tanto più forte, quanto più si è costruito qualcosa di bello e autentico. Il pericolo della chiusura, la fatica dell’accoglienza non riguarda solo comunità asfittiche, gravemente segnate dal peccato: si ripropone anzi ogni volta che si è realizzato qualcosa di buono, quando si è realmente cresciuti. Serve un discernimento continuo per impedire che la barca della Chiesa, anche se naviga con il vento dello Spirito in poppa, sia trascinata insensibilmente in pericolose derive. Potrebbe essere proprio l’eccessiva velocità a determinare un incagliamento …
 
La gioia da vivere: la bellezza della carità
Lo Spirito ci spinge sempre oltre le nostre aspettative, conduce là dove non si pensava di poter arrivare. A volte la sua azione sembra in contrasto con le premesse: il tralcio che porta frutto è “potato perché porti più frutto” (Gv 15,2). Anche la persecuzione e le ostilità possono rivelarsi come fattori potenti di crescita e rigenerazione. Esiste però anche un anticipo, un’oasi di sosta serena in cui il Risorto ci invita a soffermarci spesso. Il nostro cuore può essere inquieto, ma “Dio è più grande del nostro cuore” (1Gv 3,30). Dio ci invita ad “amarci gli uni gli altri”, “non a parole” (Gv 3,18.23): nella carità reciproca, corrisposta, consapevole, abbiamo l’anticipazione della vita eterna, del compimento del Regno. Non sempre ci è concessa, non sempre è possibile manifestarla apertamente (pensiamo alle comunità cristiane perseguitate, impedite a riunirsi, sottoposte a continue tensioni…): proprio per questo è così preziosa, e va gustata non solo come un dovere realizzare, ma come una specie di miracolo, una cosa bella davanti a cui soffermarsi. Allora comprendiamo il paradosso che appare al termine della prima lettura: da un lato si parla delle persecuzioni di Paolo e delle sue fughe, dall’altro si conclude “la Chiesa era in pace”. Non si parla qui di ciò che noi intendiamo come pace, ma della pace del Risorto, la sua pace che nessuno può toglierci.