Rinfrancate i vostri cuori. Uomo nuovo risorto con Lui (Cf. Rm 6,8-11) - Domeniche - 17 maggio - Ascensione del Signore 

17 maggio   versione testuale

Ascensione del Signore


Visione di san Giovanni a Patmos, ovvero l'ascensione di Cristo tra gli apostoli o Cristo in gloria, 1520-1523, di Antonio Allegri detto il Correggio (1489 circa-1534), affresco, diametri alla base cm 966x888. Chiesa di San Giovanni Evangelista, cupola, Parma.
 
Nella Prima Lettura della solennità dell’Ascensione leggiamo: «Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio» (At 1,3). Un affresco realizzato negli anni Venti del ‘500 da Antonio Allegri, meglio conosciuto come Correggio, per la Chiesa abbaziale di San Giovanni a Parma, sembra tradurre in immagine ciò che il Libro degli Atti ci riferisce: mentre i discepoli guardavano Gesù, questi «fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (At 1,9). Sembra tradurre anche il Salmo della liturgia odierna: «Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba» (Sal 46,6), e il Vangelo: «[Gesù] fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio» (Mc 16,19). Il soggetto raffigurato nella calotta è infatti l’ascensione di Cristo tra gli Apostoli, anche se alcuni vorrebbero identificarlo ora con la visione di San Giovanni a Patmos ora con il transito del veggente che viene accolto da Gesù il quale scende dal cielo verso di lui per accoglierlo nella gloria. In ogni caso, la stessa visione del veggente di Patmos fa riferimento al testo di Apocalisse in cui leggiamo: «Eccolo venire sulle nubi, e così ogni occhio lo vedrà» (Ap 1,7), e quindi all’apparizione ultima di Cristo alla quale il brano evangelico dell’ascensione rimanda, soprattutto nel momento in cui gli angeli si rivolgono agli Apostoli esortandoli a non fermarsi a guardare il cielo poiché lo stesso Gesù che avevano visto salire al cielo sarebbe tornato di nuovo allo stesso modo (cf. At 1,11).
L’ascensione e la parusia sono perciò due aspetti e due momenti dell’unico mistero pasquale; rappresentano i due poli della medesima ellisse e nel suo affresco Correggio vorrebbe in qualche modo farcelo intendere. L’artista celebra, in questo caso, il trionfo della luce, protagonista assoluta della scena raffigurata. È la luce, infatti, che avvolge ogni cosa e che smaterializza perfino la struttura della cupola, aprendo lo spazio dell’aula liturgica verso il cielo per permettergli di irrompere nello spazio e nel tempo degli uomini. Questo misterioso e mirabile scambio tra il cielo e la terra trova espressione nei colori e nelle parole della preghiera della Chiesa: «Il Signore Gesù, re della gloria, vincitore del peccato e della morte, oggi è salito al cielo  tra il coro festoso degli angeli» (Prefazio dell’Ascensione del Signore I). Il cielo, sembra dirci l’artista, è Cristo stesso perché è lui il mediatore tra Dio e gli uomini, colui nel quale è stata fatta pace tra il cielo e la terra. In lui il cielo, cioè il paradiso, è stato finalmente riaperto e l’umanità peccatrice è stata nuovamente e definitivamente riammessa nella vita di comunione con Dio. Precedendoci nella dimora eterna, Cristo ha dato inizio al compimento di tutte le cose e al ricongiungimento di tutte le membra del suo corpo con il loro Capo. In questo senso, la presenza delle figure degli Apostoli a cui Correggio conferisce una certa pienezza plastica, ci dice, contemporaneamente, sia la presenza della Chiesa nel momento dell’ascensione di Gesù al cielo, animata dall’aspirazione e dal desiderio di essere ricongiunta al suo Sposo, sia la sua presenza nel momento del compimento della storia, quando sarà assunta con Cristo nella gloria. Questi è visto dal basso verso l’alto, mentre fluttua in aria, come sospeso tra il cielo e la terra e come immerso in una luce dorata e sfolgorante, composta di stormi di serafini festanti. Ogni elemento architettonico è ormai svanito del tutto ed è rimasto soltanto Cristo nella gloria del Padre suo.
L’attenzione dei personaggi che affollano ordinatamente la scena - e quindi di tutti coloro il quali, avanzando verso il presbiterio alzano lo sguardo e fissano la cupola trasformata in un punto luminosissimo - è attirata esclusivamente da Cristo. Ai fedeli che avendo attraversato la navata centrale giungono sotto la cupola e ai piedi dell’altare, viene perciò rivelato il loro destino ultimo e, nello stesso tempo, viene ricordato loro che soprattutto nella celebrazione del sacrificio eucaristico si realizza, nel presente della storia, quanto il loro cuore attende e quanto le loro labbra invocano per la fine dei tempi: «Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui. Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore» (1Ts 4,14-17). Ritornano in mente le parole del poeta: «L’oscura strada che percorse / sfocia lassù nel cielo, / e chi ascolta il suo consiglio, / giunge alla casa del Padre» (Novalis, Inni alla notte).