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 OSSERVATORIO GIURIDICO LEGISLATIVO - aree tematiche - Minori - Adozione di minore da parte di coppia omosessuale 
Adozione di minore da parte di coppia omosessuale   versione testuale
Sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma
Il Tribunale per i Minorenni di Roma con sentenza del 30 dicembre 2015 ha accolto i ricorsi presentati da due donne conviventi che chiedevano ciascuna l’adozione della figlia dell’altra.
Non si tratta del primo intervento giurisprudenziale in tal senso. Già nel luglio del 2014 il Tribunale per i minorenni di Roma aveva disposto l’adozione, ai sensi dell’art. 44, lett. d) della legge 184/83 (cosiddetta adozione in casi particolari), da parte di una donna della figlia biologica della propria convivente omosessuale, nata a seguito di fecondazione eterologa, pronuncia confermata dalla Corte d’appello di Roma lo scorso 23 dicembre. Inoltre, nello stesso mese di dicembre la Corte d’appello di Milano, ribaltando la decisione del giudice di primo grado, aveva dichiarato l’efficacia in Italia del provvedimento emesso da un giudice spagnolo con cui una donna aveva adottato in Spagna la figlia della sua compagna, nata con fecondazione eterologa, ordinando la trascrizione dell’atto.
 
Il Tribunale per i minorenni di Roma, chiamato nuovamente a pronunciarsi sulla cosiddetta stepchild adoption, preliminarmente, ha ricostruito il quadro normativo e ha ricordato che il nostro ordinamento prevede, accanto all’adozione cosiddetta legittimante consentita a due persone unite da rapporto di coniugio, una seconda forma di adozione, la cosiddetta adozione in casi particolari ex art. 44 della legge in materia di adozione (Legge n. 184/83), ossia un’adozione con effetti più limitati rispetto a quella legittimante ma con presupposti meno rigorosi, primo fra tutti la possibilità di adozione da parte di persona singola indipendentemente dal suo orientamento sessuale. In tal modo viene data rilevanza giuridica a tutte quelle situazioni in cui, pur essendo preminente la finalità di proteggere il minore, mancano le condizioni che consentono l’adozione con effetti legittimanti di un soggetto minore di età.
Nel caso di specie, il Tribunale di Roma ha ritenuto applicabile l’art. 44 lett. d), che prevede la possibilità di adottare il minore, “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”.
Secondo il Collegio, la norma è chiara e inequivoca nel richiedere come presupposto l'impossibilità dell'affidamento preadottivo e non una situazione di abbandono. Tale impossibilità di affidamento preadottivo può essere intesa non solo di fatto, in quanto il minore è stato dichiarato adottabile ma non è stata reperita una coppia adottante, ma anche di diritto, in quanto difetta la dichiarazione di abbandono, perché il minore gode di vincoli idonei a garantirgli l’ambiente adatto alla sua crescita. Nel caso di specie, si è in presenza, ad avviso del Tribunale, di una impossibilità di affidamento preadottivo di diritto, in quanto le minori rispettivamente adottande dalle ricorrenti non si trovano in una situazione di abbandono e mai potrebbero essere collocate in affidamento preadottivo.
Tale interpretazione è pienamente conforme alla littera legis, che prevede come unica condizione per l'adozione di cui all'art. 44, co. 1, lett. d) l'impossibilità dell'affidamento preadottivo e non l'impossibilità di fatto dell'affidamento preadottivo di un minore in stato di abbandono. Essa consente altresì di realizzare l'interesse superiore del minore in linea con la ratio legis, che una interpretazione più restrittiva invece limiterebbe seriamente, come nel caso di specie, in cui la figlia di persona convivente con l'adottante ha  con quest'ultima un rapporto del tutto equivalente a quello che si instaura normalmente con un genitore, al quale però l'ordinamento negherebbe qualsiasi riconoscimento e tutela.
Questa interpretazione non può non applicarsi, ad avviso del Collegio, anche a conviventi del medesimo sesso, in quanto l'art. 44, co. 1, lett. d) non discrimina tra coppie conviventi eterosessuali o omosessuali. Una lettura in senso diverso sarebbe contraria alla ratio legis, al dettato costituzionale, nonché ai principi di cui alla Convenzione Europea sui Diritti Umani e le Libertà Fondamentali (CEDU). Al riguardo il Tribunale ha affermato, in primo luogo, che non può presumersi che l'interesse del minore non possa realizzarsi nell'ambito di un nucleo familiare costituito da una coppia di soggetti del medesimo sesso.
In secondo luogo, una lettura dell'art. 44, co. 1, lett. d) che, contrariamente al dato letterale della norma, pretendesse di discriminare coppie omosessuali si porrebbe in conflitto con il dato costituzionale. Al riguardo, viene richiamata la sentenza della Corte Costituzionale n.138/2010 in cui la Corte, pur non riconoscendo l’estensione della disciplina del matrimonio alle coppie omosessuali come una modifica costituzionalmente obbligata e quindi operabile attraverso una sentenza addittiva, allo stesso tempo afferma che “per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone -nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge- il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.
Inoltre, secondo il Tribunale, il desiderio di avere dei figli, naturali o adottati, rientra nel diritto alla vita familiare, nel “vivere liberamente la propria condizione di coppia” riconosciuto come diritto fondamentale, anzi ne è una delle espressioni più rappresentative. Pertanto, una volta valutato in concreto il superiore interesse del minore ad essere adottato e l’adeguatezza degli adottanti a prendersene cura, un’interpretazione dell’art 44, co. 1, lett. d) L. 184/83 che escludesse l’adozione per le coppie omosessuali solo in ragione della omosessualità, al tempo stesso riconoscendo la possibilità di ricorrere a tale istituto alle coppie di fatto eterosessuali, sarebbe un’interpretazione non conforme al dettato costituzionale in quanto lesiva del principio di uguaglianza (art. 3 Cost) e della tutela dei diritti fondamentali (art. 2 Cost), fra cui la Corte Costituzionale annovera quello delle unioni omosessuali a vivere liberamente la propria condizione di coppia.
In terzo luogo, una lettura dell'art. 44, co. 1, lett. d) che escludesse dalla possibilità di ricorrere all'istituto dell'adozione in casi particolari coppie di fatto omosessuali a motivo di tale orientamento sessuale si porrebbe in contrasto con gli artt. 14  (Divieto di discriminazione) e 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) della CEDU.
Sulla base di queste considerazioni, il Tribunale nel caso di specie ha ritenuto che non si tratta di concedere un diritto ex novo, creando una situazione prima inesistente, ma di garantire la copertura giuridica di una situazione di fatto già esistente da molti anni, nell’esclusivo interesse di due minori allevate dalle ricorrenti, le quali costituiscono ognuna per la figlia della compagna un riferimento stabile e significativo, anche in considerazione della stabilità della convivenza, ormai decennale. L’art. 44, co. 1, lett. d) costituisce, secondo il Collegio,  l’apposito strumento, “configurandosi come una «porta aperta» sui cambiamenti che la nostra società ci propone con una continuità ed una velocità cui il Legislatore fatica a tenere dietro, ma cui il Giudice minorile non può restare indifferente, se in ogni suo provvedimento deve, effettivamente, garantire l'interesse superiore del minore.”
 
(Tribunale per i Minorenni di Roma, sentenza del 30 dicembre 2015, depositata il 29 febbraio 2016)