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L'emigrazione calabrese dal dopoguerra ad oggi (Rita Tulelli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/05


l’emigrazione calabrese dal dopoguerra ad oggi

 

di Rita Tulelli

 

L’emigrazione è stata ed è, purtroppo un fenomeno che ha caratterizzato la Calabria, a cominciare dalla fine dell’Ottocento, quando migliaia di contadini emigravano al di là dell’Oceano per sfuggire alla miseria e, spesso, alla fame. Nel secondo dopoguerra, e fino ai nostri giorni, l’esodo dalla Calabria è stato massiccio. Europa e Nord dell’Italia sono state le zone verso cui si è indirizzato il flusso dei calabresi. Se si considera che la popolazione attiva calabrese in agricoltura rappresentava nel 1951 il 63,9% e nel 1971 il 34,9%, ci si rende immediatamente conto dell’enorme numero di persone, costituito da braccianti, contadini poveri, disoccupati e sottoccupati soprattutto, che ha abbandonato i campi e la propria regione per andare a lavorare in Svizzera, Germania, Belgio, Olanda o nel triangolo industriale, Genova-Torino-Milano, e nel Nord dell’Italia in generale.

Nel periodo 1871-1951 sono emigrate dalla Calabria circa 773 mila persone con destinazione, per il 94,%, Stati Uniti, Argentina e Brasile, e, per l’altro 5,4%, i paesi dell’Europa: Francia, Svizzera e Germania. Dal 1951 al 1971 ben 741.000 calabresi sono emigrati prevalentemente in Lazio, Lombardia, Piemonte e Liguria e, ancora, in Svizzera, Francia e nei distretti minerari dell’Europa centro-settentrionale, pur se è continuato, con una forte attenuazione, il “mai spento flusso verso i paesi extraeuropei”.

“L’ondata di immigrazione - scriveva nel 1977 Michele Cozza - è stata come un fiume che, in pochi anni, ha portato nel Nord dell’Italia forza lavoro giovane, ragazzi, donne e vecchi, ha portato lavoratori ed emarginati e il fango della mafia e il triste insegnamento del denaro facile e quello, comune a tutte le associazioni criminali, del delitto come scorciatoia della ricchezza. A Torino - è solo un esempio - la maggioranza della popolazione è immigrata. Vi sono le stamberghe - continua Cozza - per gli immigrati e c’è il racket delle braccia, che uccide spietatamente. Su 100 immigrati 6 sono analfabeti, 12 hanno fatto la terza elementare, 40 la quinta”.

E sufficiente, inoltre, leggere qualcuna delle opere di Saverio Strati per conoscere i gravissimi problemi cui andavano incontro i malcapitati poveri calabresi che lasciavano il proprio paese in cerca di lavoro.

E appena il caso di ricordare l’altro grande fenomeno che ha caratterizzato la nostra regione negli ultimi decenni, il massiccio abbandono, da parte della popolazione, dei paesi di montagna e di collina interna della Calabria e il grande esodo verso i capoluoghi di provincia. La città di Cosenza, ad esempio, contava circa 35 mila abitanti nel 1951, 57 mila nel 1961, 102 mila nel 1971. Continua anche dopo il 1971, e perdura fino ad oggi, con fasi alterne, l’emigrazione calabrese, continua l’esodo delle forze lavoratrici più attive, con i conseguenti, perniciosi fenomeni: “impoverimento in termini economici della regione, aumento della delinquenza, ‘arricchimento del territorio che la ricevè, disgregazione delle famiglie, sofferenze morali e materiali, perdita di valori”. In un documento pubblicato su L’opinione del 24 aprile 2003 Fiorenzo Grollino, osserva - sono senza dubbio fondate le sue considerazioni - che “il divario economico tra Nord e Sud è abissale”, aggiunge, preoccupato, “che ci vorranno 50 anni per fare una sola Italia”. “O il problema si risolve - aggiunge Sergio Billé, presidente della Confcommercio - entro pochi anni o il Mezzogiorno è destinato a perdere tutti i treni, vi sono abissali carenze nel sistema viario, ferroviario, portuale, e quelle altrettanto vistose all’interno dei sistemi urbani, mancando di infrastrutture”. I dati Istat relativi agli anni 1999 e 2000 confermano l’esodo dalla Calabria di un gran numero di persone. Le caratteristiche sociali ed economiche degli emigrati, però, sono completamente diverse da quelle dei decenni precedenti, l’emigrazione assume aspetti, soprattutto sociali, diversi.

Nel 1999 i cittadini calabresi, iscritti per trasferimento di residenza tra comuni italiani, sono stati 22.683; circa 4 mila si sono diretti nell’Italia settentrionale (Piemonte, Lombardia) e 1.500 nel Lazio; il 10% aveva conseguito la laurea, circa il 50% il diploma di scuola media superiore o di licenza media inferiore, il 10% circa non aveva alcun titolo, un terzo solo la licenza elementare. La classe di età di tali emigrati oscilla, per circa 12.000 persone, tra i 19 ed i 34 anni, oltre la metà è costituito da maschi.

Nel 2000 le cose sono andate nella stessa direzione: il numero di emigrati per trasferimento di residenza tra comuni italiani è di circa 23.000, 1.334 sono laureati, 5.129 i diplomati di scuola superiore, 4.259 quelli con licenza media inferiore, solo 1.621 quelli con licenza elementare e 543 senza alcun titolo di studio. La fascia di età per oltre il 50% è costituita da persone di 19-34 anni, di cui circa 9.000 uomini, 4.000 donne. Dunque negli ultimi anni si è verificato un importante fenomeno, che contrasta completamente con la tradizionale immagine dell’emigrato calabrese. I “nuovi” emigrati calabresi hanno studiato e cercano un lavoro rispondente al titolo di studio conseguito.

I dati Istat relativi al 2001 confermano la consueta tendenza dei calabresi ad emigrare nel Piemonte e in Lombardia e in Lazio; si aggiungono nuove regioni, indice di una nuova e più dinamica mobilità, l’Emilia Romagna e la Toscana.

Molto ridotta è, nello stesso anno, l’emigrazione verso i paesi dell’UE, solo 2.715 persone nel 2001 e 261 verso gli altri paesi europei, 1.383 verso l’America.

Interessanti, anche se risultanti da fonti di apprendimento non meglio controllate, sono i dati relativi al 2004, riguardanti il Meridione, Calabria compresa.

Sono oltre 72 mila gli emigrati meridionali, non calcolando bambini e giovani compresi tra 0 a 16 anni. Ben 60 mila sono di età compresa tra 22 e 40 anni, le donne rappresentano la metà circa del totale, il 40% ha conseguito il diploma di scuola media superiore, il 40% la licenza media inferiore, il 10% la laurea.

La figura del vecchio emigrato, analfabeta o quasi, disposto a fare i lavori più umili e faticosi, è completamente sparita, i nuovi emigrati sono in gran numero diplomati e laureati.

E molto preoccupante il fenomeno, però. La Calabria e il Mezzogiorno, perdono le loro forze migliori, le famiglie, dopo aver speso cifre considerevoli in istruzione, vedono i loro figli partire, la regione diventa sempre più povera di vitali energie intellettuali, che sono indispensabili per il suo decollo economico.

E un problema che deve essere affrontato con la massima urgenza e con la massima decisione dalle forze politiche e sociali nazionali e calabresi in particolare, il rischio, molto concreto, è la condanna a continuare ad essere il fanalino di coda dell’Italia e, purtroppo, dell’Europa unita. E non è cosa di poco conto.