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 Sussidio Avvento-Natale 2011 - Sezione introduttiva - Il brano-guida (Is 63,16 - 17.19; 64,2 - 7) 
Il brano-guida (Is 63,16 - 17.19; 64,2 - 7)   versione testuale
La liturgia stessa della I domenica introduce una forte tematica educativa. Si tratta della prima lettura che viene proclamata, ed è pertanto particolarmente significativa, perché apre un percorso di ascolto.
Dio è riconosciuto esplicitamente come padre ed educatore del popolo; a partire da questo atto di fede il profeta, pregando a nome del popolo, sviluppa una interessantissima riflessione sull’azione formativa di Dio; si apre inoltre una serie di interrogativi che troveranno risposta nelle domeniche successive.
Al termine del periodo natalizio, con la festa del Battesimo di Gesù, il Vangelo di Marco dà la risposta definitiva all’interrogativo del profeta: “Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento”. In Cristo, che si affianca all’umanità peccatrice, può raccogliersi il popolo di Dio, plasmato dalla sua azione riformatrice.
 
 
Il contesto
 
Il capitolo 63 del libro di Isaia si apre con una rievocazione del progetto di Dio, riletto secondo la metafora educativa: “Egli ci trattò secondo la sua misericordia, secondo la grandezza della sua grazia”. Disse: «Certo, essi sono il mio popolo, figli che non deluderanno»” (Cf. Is 63,7-8). Di fatto però “essi si ribellarono” (Is 63,10): il popolo si è comportato come un figlio testardo e ostinato, reo, pertanto, di morte, secondo le usanze del tempo (cf. Dt  21,18-21). La risposta di Dio però non è la condanna, ma un’azione pedagogica che mira a suscitare la conversione e il ritorno. Il popolo sperimenta l’assenza e la nostalgia di Dio: “Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito delle tue viscere e la tua misericordia?"
(Is 63,15). Dopo i tempi del distacco e della lontananza, il popolo è pronto di nuovo ad accogliere Dio come Padre.
 
 
Tu, Signore, tu sei nostro padre
 
All’inizio e alla fine del testo troviamo il riconoscimento della paternità di Dio: non certamente sdolcinato, né sentimentalistico. Si tratta di una riscoperta, di un ritorno, del ritrovamento di qualcosa che si era perduto, nell’illusione di trovare qualcosa di meglio. La riscoperta di Dio come padre avviene nell’esperienza dura e sconfortante dell’esilio. Coloro che pensavano di potersi trastullare cedendo alla seduzione di altre divinità, più facili e consolanti, hanno sperimentato il fallimento a cui sono stati portati dal loro orgoglio e dalla loro presunzione.
 
 
Una preghiera di ardita invocazione
 
La preghiera accorata, l’invocazione, nasce dalla convinzione che Dio, invece di abbandonare il popolo, continua ad accompagnarlo, in un cammino di riscoperta: simultaneamente, il popolo ritroverà il Padre e ritroverà se stesso, non più come un adolescente ribelle, ma come un adulto consapevole e autenticamente libero. Perciò, nonostante la consapevolezza del proprio peccato, la preghiera si scioglie in affermazioni ardite (“se tu squarciassi i cieli e scendessi!”), alcune quasi di rimprovero (“perché ci lasci vagare…?”): è la franchezza del figlio, liberato dalla sua finzione, riabilitato a parlare con piena verità.
 
 
Da sempre ti chiami nostro redentore
 
La paternità educante di Dio si configura come opera di redenzione, cioè di liberazione: proprio per questo risulta così difficile da accogliere. Il Dio di Israele non vuole viziare il popolo, ma crescerlo nella libertà: una libertà da adulti, una libertà che è responsabilità. Il tema è già noto fin dal libro dell’Esodo: il popolo che esce dall’Egitto non è solo schiavo del Faraone, ma schiavo dei propri istinti, incapace di reggere la nuova condizione. Solo la dura lezione del deserto prima, e dell’esilio poi, mostra l’autentica direzione della libertà. La scoperta della libertà autentica è uno dei nodi educativi fondamentali per l’uomo moderno, non soltanto per le giovani generazioni.
 
 
Perché Signore ci lasci vagare nelle nostre vie / e lasci indurire il nostro cuore così che non ti tema?

Il linguaggio poetico (simile a quello dei salmi) coglie il paradosso dell’azione educativa di Dio: proprio mentre sembra lontano, Dio è vicino, è all’azione; proprio mentre sembra che si indurisca il cuore, in realtà si sta frantumando il cuore vecchio, segnato dal peccato, e si sta compiendo il dono di un cuore nuovo. Il profeta annuncia ciò che solo il Vangelo poi porterà a compimento, un vero e proprio miracolo da un punto di vista educativo: non la formazione di un fanciullo, docile e facile da plasmare, ma la trasformazione di un popolo di adulti, di cuori induriti, che vengono trasfigurati attraverso il tempo dell’attesa.
La domanda “Perché…?”, frequente nei profeti, nelle Lamentazioni, nei Salmi, è un uso tipico della lingua ebraica per introdurre un rimprovero, che ha un carattere quasi giuridico: potremmo dire che si tratta di una specie di accusa nei confronti di Dio. Si tratta però di un’accusa che non porta ad un distacco, ma ad un approfondimento della relazione (come avviene anche nei Salmi di supplica e nel libro di Giobbe): colui che arriva a questo limite nei confronti di Dio, può giungere ad una relazione più profonda, compie un passo avanti verso una comprensione più autentica (e più “adulta”) del suo mistero di amore. Quando Dio sembra tenerci lontano, in realtà accompagna la nostra crescita;  colui che sembra lasciar indurire il nostro cuore, in realtà lo riplasma, perché da cuore di pietra diventi cuore di carne; ma tutto questo si conosce solo al termine del cammino. Anche Gesù nel Natale e sulla croce sperimenta l’apparente distanza del Padre: nell’umiltà della sua venuta, nell’abbassamento estremo della sofferenza e della morte. Ma proprio per questo può risorgere come immagine dell’uomo nuovo.
 
 
Noi siamo argilla, e tu colui che ci plasma
 
L’immagine dell’argilla evoca apparentemente assoluta dipendenza, assenza di libertà, assenza di decisione; ma il complesso delle Scritture, e il messaggio che emerge dal tempo liturgico dell’Avvento, ci fanno comprendere il senso vero della metafora: Dio ci plasma perché possiamo vivere nella libertà, così come era stato plasmato il primo uomo, e dotato di un soffio di vita. Lasciarsi plasmare significa dunque accogliere l’opera formativa di Dio, che ci ridona vita, libertà, iniziativa autentica, capacità di relazione e di dono.
Il disegno così è chiaro: ma l’opera concreta con cui Dio ci modella avviene attraverso il tempo: il tempo dell’attesa, il tempo di una venuta, che progressivamente ci consente di riprender forma… Il tempo dell’Avvento dunque ci consentirà di vivere l’attesa rigeneratrice; il tempo del Natale ci consentirà di sperimentare la rinascita.