Torna alla home
Cerca
 Congresso Eucaristico Nazionale - Notizie - Per la sete dei poveri - Per costruirsi un futuro 
Per costruirsi un futuro   versione testuale

Il verbo che si fa carne. Lo ripete spesso Giacomo Toricelli, per sottolineare che la parola accoglienza ha senso se si riesce a “esserci con le persone”, “bilanciando la loro autonomia e il nostro supporto come educatori”. In altre parole, accogliere significa essere capaci di costruire una comunità, fatta di legami. Ed è quello che Fondazione Auxilium sta cercando di fare a Genova al 13 di Vico Untoria. Non lontano da via del Campo vi è lo stabile - scelto tra i luoghi di misericodia - appena finito di ristrutturare da Fondazione Carige che ha concesso il comodato d’uso a Fondazione Auxilium che fa capo alla Caritas diocesana. Lì vivono 15 persone e 6 bambini, le stanze sono spaziose, gli arredi essenziali e pur nella difficoltà, si sono creati dei legami di vicinato e vicinanza: “Sono soprattutto famiglie di profughi con figli, in attesa di sapere se la loro richiesta di asilo verrà accettata” spiega ancora Toricelli, operatore di Auxilium. “Solo uno degli appartamenti al momento è vuoto: viene utilizzato per accogliere in estrema emergenza famiglie di siriani, secondo la Convenzione che abbiamo con il ministro dell’Interno”, anche se di emergenza, oramai, non avrebbe più senso parlare, come sottolineano gli operatori stessi. Perché le migrazioni sono un fenomeno consolidato che va gestito e soprattutto perché le persone hanno bisogno di potersi costruire un futuro. E a chi chiede cosa accade se ce la fanno queste donne e questi uomini da soli, fuori dalle strutture di accoglienza, Marina Pintus - che per Fondazione Auxilium è anche referente per il servizio che accoglie donne migranti, soprattutto nigeriane, vittime dalla tratta che pure abitano nello stesso stabile di Vico Untoria - risponde in modo molto franco: “Le borse lavoro non si trasformano più in lavoro”. “Queste persone vivono sempre in una condizione al limite - prosegue Pintus -: prendono consapevolezza di essere state sfruttate, si espongono con una denuncia, intraprendono un percorso. Mandano i bambini all’asilo, imparano l’italiano, riprendono fiducia in loro stesse, riescono persino a trovare delle borse lavoro”. Ma manca sempre il passaggio finale, il lavoro che dà dignità che genera speranza non si trova: “Se per tutti trovare lavoro di questi tempi è difficile - prosegue Pintus - per queste donne lo è ancora di più”. Ed è per questo, che ancora di più, ha senso accogliere per costruire delle relezioni, perché sono quelle reti fraterne a impedirci di cadere.

(Ilaria Solaini)